Prima di tutto grazie.
Grazie al Santo Padre Papa Francesco, per aver detto subito sì al mio invito. Non le nego, Santità, che quando invitavo gli ospiti a partecipare a questo evento e accennavo loro della Sua presenza, non pochi mi hanno preso per un fanfarone.
Grazie al Presidente del Consiglio Mario Draghi, per aver risposto al nostro invito. La sua presenza conferisce a questi primi Stati generali della Natalità un peso politico e istituzionale di grande importanza.
Il mio grazie va anche a tutte le altre figure istituzionali presenti, con cui ci conosciamo da tempo e che ringrazio sinceramente per la loro presenza.
Un grande grazie – ultimo, ma non per ultimo – desidero indirizzarlo agli ospiti che ci aiuteranno a riflettere su questo tema, capace finalmente di unire e non dividere. Un tema che riguarda tutti, nessuno escluso.
Sei anni fa, due giorni dopo la mia elezione a presidente del Forum delle associazioni familiari, mi sono arrivati come un pugno in faccia i dati Istat che mostravano come il nostro Paese stesse lentamente scomparendo.
Negli anni successivi, peraltro, la cosa è andata peggiorando sempre di più.
Il declino demografico è un'emergenza non solo italiana ma europea. Si parla tanto di sviluppo sostenibile.
Ma occorre essere chiari: non ci sarà alcuno sviluppo sostenibile, in Italia come in Europa, senza equilibrio intergenerazionale. Perciò dobbiamo capire che le politiche demografiche non sono costi ma investimenti.
Che cosa può accadere se nascono meno bambini? Perché dovrebbe toccare le nostre vite? Meno siamo e meglio stiamo. O no?
Purtroppo no. E non è solo una questione demografica.
Lo sarebbe se le donne italiane non volessero – lo dicono tutti i dati – due figli e invece ne fanno in media solo 1,24.
Lo sarebbe se l’80% dei giovani italiani – come mostrato da uno studio dell’Istituto Toniolo pubblicato qualche anno fa – non avesse risposto: vorrei due o più figli.
Ecco, allora, che la natalità diventa una questione più grande. Un tema che ha che fare con i desideri e i sogni degli italiani. Nessuno escluso.
Ormai fare un figlio è diventato un lusso, se è vero che è una delle prime cause di povertà.
Ma come può diventare fonte di povertà la nascita di un bambino? Un tempo era ricchezza.
Oggi è uno dei cambiamenti che mette in difficoltà le famiglie.
Senza contare che se non riparte la natalità, se non riusciamo a rendere più sostenibile l’equilibrio intergenerazionale crolla tutto.
Vivaddio: gli anziani vivono sempre più a lungo. Ma se diminuiscono i giovani, cosa accadrà tra una decina di anni?
Banalmente: chi pagherà le pensioni se si assottiglia il numero di chi paga le tasse?
Ci può essere “Green Economy” e uno sviluppo sostenibile senza un equilibrio generazionale?
Ci può essere una vera innovazione senza giovani?
Potremo ancora permetterci una rete di servizi sociali per i più fragili adeguata se crolla il numero dei lavoratori?
Come potremo far crescere il Pil se continuiamo ad avere un segno meno riguardo il numero delle nascite?
E ancora: la sanità sarà ancora gratuita, se ogni 1.000 lavoratori ci sono - già oggi - circa 600 pensionati?
Non ci sono dubbi: la natalità è la nuova questione sociale, perché se non interveniamo ora, crolla tutto.
Ed è una questione sociale universale, che riguarda tutti, anche chi i figli – liberamente – non li ha voluti o non li vuole fare e non desidera figli propri. Perché riguarda il futuro.
Perché ha che fare con la speranza di un popolo.
Perché anche chi sceglie liberamente di non avere figli propri (mettere al mondo o non mettere al mondo un figlio non deve mai essere un obbligo) avrà bisogno delle generazioni di domani.
Siamo tutti genitori del Paese di domani.
Anche se negli ultimi tempi, nel racconto di alcuni media torna ad intervalli regolari una filastrocca che non ha nulla a che fare con la realtà: è quella concezione falsa secondo cui i figli inquinano.
Non è così. I figli migliorano il clima sociale, lo arricchiscono, lo curano perché sono loro oggi a volere un mondo diverso, migliore di quello che è stato finora costruito.
Sono loro a renderci maggiormente responsabili verso il pianeta: se faccio la differenziata non è perché me lo dice il sindaco della mia città, ma perché è un atto d’amore nei confronti dei miei figli, del futuro…
Sono i nostri figli a renderci parsimoniosi perché ci “costringono” a spendere per la loro formazione e non per il consumo tout court.
Sono loro l’antidoto al consumismo, all’individualismo e all’egoismo che davvero inquinano.
In queste ore mi sono arrivati tanti messaggi di persone – anche importanti – che mi chiedevano: che cosa c’è dietro questo evento? Dove volete andare?
Da nessuna parte: vogliamo porre un tema. E lo vogliamo fare coinvolgendo tutte le parti del Paese. Ci eravamo stancati di parlarne solamente commentando i dati Istat sulle agenzie.
Perché lo abbiamo fatto?
Perché siamo convinti che occorra fare qualcosa per invertire questa tendenza, che sta facendo crollare tutto. Come un terremoto che viene sottovalutato, solo perché non si vedono le crepe nel salotto, anche se la casa, l’architrave su cui si regge, è ormai compromessa.
La natalità e la politica per alcuni versi sono molto simili: quando realmente incidono hanno tempi lunghi.
Parecchi anni fa mio nonno Marcello, a cui ero molto legato, l’estate prima che morisse, come se lo sentisse mi chiese di accompagnarlo in campagna. Una volta arrivati tirò fuori dal bagagliaio dell’auto una piantina di fico molto piccola, chiedendomi di aiutarlo a piantarla.
E mentre stavamo lì a fare la buca mi disse: Gigi, quando io non ci sarò più ricordati di me quando ti farai la pizza con i fichi che a te piace tanto. E così è stato: dopo parecchi anni abbiamo iniziato – e continuiamo – a mangiare di quella pianta, anche oggi che nonno Marcello non c’è più.
Con la natalità e, aggiungo, con la politica funziona allo stesso modo: oggi dobbiamo seminare quella piantina di fico i cui frutti verranno raccolti da chi viene dopo di noi. Perché le politiche per la famiglia non danno frutti immediati, ma certi.
E forse, anzi, sicuramente noi non ci saremo, più, ma ne beneficeranno i nostri figli e i nostri nipoti.
Per questo è urgente cambiare mentalità: dal bonus alla riforma strutturale.
Dalla spesa all’investimento.
Dal consumare al seminare.
Non c’è nulla di più ecologico di un serio investimento sulla ripartenza delle nascite.
Come dice proprio Papa Francesco: “Quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca”.
E come stiamo rispondendo a questa sfida?
Noi siamo qui, oggi, perché abbiamo scelto di non rassegnarci.
Non vogliamo rassegnarci a sentire o vedere donne costrette a scegliere tra il lavoro e la famiglia.
Non vogliamo rassegnarci a vedere i nostri figli su Skype perché qui, in Italia, è impossibile realizzare i loro sogni.
Non vogliamo rassegnarci alla magra e stupida consolazione di poter dire, tra dieci anni: “Ve lo avevamo detto”.
Non vogliamo rassegnarci a un Paese stanco e ripiegato su sé stesso, come un pugile sulle gambe che non riesce più a riprendersi.
Non vogliamo rassegnarci a famiglie stanche, che non arrivano alla fine del mese perché sono abbandonate a sé stesse.
Non vogliamo rassegnarci a quello sport, tutto italiano, di leggere la natalità con una chiave di lettura ideologica, come se fosse un’occasione divisiva e non come l’opportunità più ghiotta di fare squadra.
Nel recente dibattito sull’assegno unico e universale, grazie anche al lavoro dietro le quinte del Forum delle Famiglie, abbiamo mostrato a tutto il Paese che ci sono temi che uniscono, che ci fanno fare squadra, che vanno oltre maggioranze e opposizioni, oltre i partiti, oltre le bandiere, oltre gli interessi particolari.
(A proposito Presidente Draghi, facciamolo bene questo assegno: c’è un Paese unito e compatto come non mai verso questa misura. Glielo chiedo a nome di milioni di famiglie italiane: anche qui n0n possiamo rassegnarci a famiglie che ci perdono rispetto a prima, ma nemmeno che pareggino vista la situazione che abbiamo vissuto in questa pandemia).
Per questo, abbiamo convocato questi primi Stati Generali della Natalità. Primi perché questa è solo la prima edizione.
Avremmo voluto farli in presenza, avremmo voluto coinvolgere altri centri nevralgici del Paese: le associazioni, i sindacati, il mondo della politica, il mondo della sanità.
L’emergenza purtroppo ci chiede ancora una volta di limitare le presenze e contingentare gli spazi.
Ma siamo fiduciosi che i messaggi, le riflessioni, i numeri, le tendenze demografiche, le chiavi di lettura e, soprattutto, le proposte, le iniziative di questa giornata, saranno comunque dense e ricche di spunti significativi.
Abbiamo iniziato in questo modo – e non ci è andata malissimo avendo qui con noi alla prima edizione Papa Francesco e il Presidente Draghi – coinvolgendo il mondo delle istituzioni, delle imprese, delle banche, dello sport, della cultura, dell’editoria, dello spettacolo. Alcuni – certamente non tutti – gli ambiti che costituiscono la carne e il sangue della nostra comunità.
Nulla è ancora definitivamente perduto, se iniziamo a rimboccarci le maniche e a remare controcorrente, senza mai perdere la fiducia di poter incidere su processi, decisioni e idee delle persone, così da invertire finalmente la rotta, restituendo una speranza veramente nuova alle famiglie di tutto il Paese.
Un’ultima osservazione. Non vorrei mi fraintendeste. Non servono figli per pagare le pensioni.
I figli non sono frutto di un ragionamento utilitaristico.
I figli sono desiderio, dono, amore che si trasmette.
I figli sono il segnale di un Paese che torna a desiderare e ad amare.
Per questo, la natalità è oggi la cartina di tornasole attraverso la quale giudicare la politica, l’economia, la società.
Perché i figli non devono essere né un dovere né un lusso, ma una libertà.
E allora viva la libertà.