Sono i tre i grandi amori di Tullio
De Piscopo. E sono loro a comporre i capitoli di Tempo! (Hopli Editore), l’autobiografia che il batterista partenopeo sta presentando in
giro per l’Italia. Ora è in procinto di partire per il Tropea Festival Leggere
& Scrivere, in Calabria, per raccontarsi
a un pubblico affezionato che ormai conta tre generazioni.
Già, gli amori. Sono la musica, Napoli e la vita. E proprio da
quest’ultima si parte per illustrare la genesi di questo libro.
Tullio, come è nata la voglia
di scrivere?
"Amici, colleghi, fan negli anni mi chiedevano di raccontare la mia
vita, ma noi artisti siamo un po’ pigri. Tutto è nato dalla voglia di liberare
le mie emozioni dopo la dura prova che ho dovuto affrontare: una brutta
malattia da cui fortunatamente sono uscito".
Un libro come espressione di
una rinascita, quindi?
Certo, soprattutto un libro per urlare al mondo il mio attaccamento
alla vita e per dire quello che rimango ancora dopo tanti anni: un cacciatore
di sogni".
Protagonista delle pagine di Tempo! è naturalmente la musica, in
particolare il jazz. Come ti sei avvicinato a questo genere e cosa rappresenta
per te?
"È una passione di famiglia. In casa circolavano i dischi di Max Roach,
Charlie Parker, Chiarlie Mingus. In particolare, come racconto nel libro, sono
stato influenzato da mio fratello Romeo, batterista prematuramente scomparso
che rimane una figura di riferimento della mia formazione musicale. Il jazz mi
ha offerto la possibilità di suonare con piccoli e grandi artisti e ognuno di
loro mi ha lasciato qualcosa di unico e irripetibile. È il miracolo del jazz".
Qualche nome?
" Ho paura di fare un torto a qualcuno se lo dimentico. Mi vengono in
mente Franco Cerri, con cui ho suonato
agli inizi della mia carriera a Milano. E
poi Gerry Mulligan, Astor Piazzolla, Eumir Deodato, ma la lista è ancora
lunga".
La tua musica oltre al jazz è
legata al Mediterraneo. Cosa vuol dire essere un artista mediterraneo?
"Vuol dire apertura, essere liberi da ogni forma di razzismo e pronti
al dialogo con tutti. Io da bambino, al
porto di Napoli ho visto persone di tutte le razze, sono cresciuto con la
contaminazione che è il motore della musica. I linguaggi sono molti, ma il
pentagramma è unico".
Napoli, la tua città del
cuore..
" Sicuramente. Napoli rappresenta le radici della musica. Qui, come ho
detto, ho assimilato i ritmi diversi, quelli del neroamericani, dell’oriente e
tutto si è mescolato dentro di me. A Napoli devo la mia personalità musicale:
la strada, i vicoli, il vociferare della gente, lo strombazzare dei clacson
delle automobili. Come suonano il clacson i napoletani non lo suona nessuno al
mondo.
Nel libro c’è molto di Tullio
De Piscopo musicista, ma tu sei anche un insegnante. Qual è il tuo rapporto con
i giovani?
"Per me è fondamentale dal punto di vista creativo e umano. Colgo
l’occasione per sottolineare un aspetto. Molti ragazzi cercano di arrivare
subito, di saltare la gavetta. Ecco, mi sento di dire ai giovani di impegnarsi
e di non avere fretta. Questo vale in tutti gli ambienti".
Un’ultima domanda: quali sono
le caratteristiche del grande batterista?
(ride..)
"Ti dirò: se in una buona orchestra c’è un batterista mediocre
l’orchestra ne risente; se al contrario in una formazione così così il
batterista è bravo allora questa formazione suona alla grande".