Allo scoccare dei primi cento giorni di governo-Letta sembrerebbe che la crisi sia più lontana. Ma siamo davvero usciti dal tunnel della crisi? Secondo alcuni sì, si comincia a vedere la fine della crisi. E allora facciamo festa? Giuseppe De Rita, presidente del Censis, invita alla prudenza. «Dobbiamo fare una prima valutazione generale: abbiamo vissuto una crisi seria ma accentuata anche da annunci sempre più catastrofici, specie negli ultimi due anni.
Abbiamo vissuto giornalmente con comunicati che parlavano solo di vicinanza del baratro e di declino sicuro. Tutto questo ha finito per svolgere un ruolo decisivo, nel senso che siccome oggi le cose sembrano essere più piatte e qualcosa forse comincia a muoversi, allora si parla di rilancio, con una certa spregiudicatezza. Per me, si può dire solo che siamo alla fine della situazione tragica, che era pompata all’eccesso prima; così, adesso, si tira dall’altra parte con la stessa enfasi. La politica in questi anni ha fatto da amplificazione alla crisi e i media l’hanno cavalcata in modo troppo spregiudicato. Sembrava un bollettino di guerra».
- Fine delle illusioni, dunque?
«Il problema è vedere quali sono le prospettive in questa situazione di non recessione. Perché d’accordo, la recessione è finita ma magari permane una certa stagnazione. E la vera paura degli italiani è che si resti così, fermi, senza speranza, solo con la sopravvivenza. Dal punto di vista psicologico, quest’ansia, questa paura di restare fermi, andrebbe cavalcata politicamente, perché la vera paura collettiva è proprio questa. Cavalcare l’ansia che la gente ha di restare con la disoccupazione e con bassi consumi. Questo bisognerebbe fare».
- Quindi, gli annunci sulla fine della crisi sono immotivati?
«Diciamo che finita la sbornia della curva negativa, si tenta il rimbalzo, ma il rimbalzo non c’è, semmai c’è solo la fine della caduta. Per avere un’evoluzione bisogna individuare una linea politica d’indirizzo specifico».
- Crede che il governo Letta sia in grado di proporre questo scatto in avanti?
«Il governo di Enrico Letta è stato straordinariamente bravo nel ridurre la velocità di discesa della crisi. Il problema per Letta era quello: tentare di stabilizzare la situazione. C’è riuscito. Per fare il passo successivo ci vuole qualche ulteriore elaborazione, che definirei prepolitica».
- In quale direzione?
«Gli esempi possono essere quattro. Primo: si dice che la ripresa è a pelle di leopardo? E allora è giusto per il governo cavalcare la pelle di leopardo e non puntare soltanto su dati troppo generali. Secondo: l’uscita dalla crisi dovrebbe essere trainata, a quanto vediamo, dall’export. E allora andiamo avanti nella logica di sviluppo delle esportazioni, senza paura. Terzo: è chiaro che l’export è legato alla media impresa, che è la vera novità italiana. In passato, infatti, c’erano solo la grande e la piccola impresa. La media impresa è una novità importante. E allora sosteniamo la novità strutturale del sistema. Quarto: regge la piccolissima economia di nicchia che continua a crescere. E allora la strategia delle nicchie va portata avanti. Questi esempi fanno capire come si potrebbe fare. Poi, certo, la politica si impantana sull’Imu e su altre storie. Lo capisco, la casa è importante però la logica di ripresa, la speranza di un movimento in avanti dipendono da quali rotelline si muovono in avanti. Non credo che tutte le rotelline vadano in avanti; bisogna scegliere alcune delle rotelline del sistema e lavorare su quelle soltanto».
- Insomma, ci si aspetta che la politica si metta in marcia…
«La situazione politica si è fermata su certi argomenti tutti suoi, politici, appunto. La crisi economica, invece, può essere risolta anche a prescindere dalla politica; se ne può uscire, in pratica, anche in modo indipendente dalla politica».