«Nessuna voglia di sfida, solo l’intenzione di tutelare le persone che aveva con sé». Graziano Del Rio, deputato Pd ed ex ministro dei trasporti del Governo Renzi ha vissuto in prima persona gli ultimi giorni dell’odissea della Sea Watch. «Siamo saliti a bordo giovedì e ci siamo rimasti fino alla notte tra venerdì e sabato».
Com’è maturata l’idea di forzare il blocco?
«Quando siamo saliti a bordo giovedì abbiamo detto alla capitana, che era decisa a mettere in sicurezza i suoi passeggeri forzando anche il blocco dei divieti all’ingresso in porto, che bisognasse attendere le soluzioni del ricollocamento. Il ministro dell’interno, infatti, aveva detto che, raggiunto quest’accordo, si sarebbe potuti sbarcare in cinque minuti. Io stesso mi sono messo a lavorare su questo punto, sono stato in contatto costante con diversi esponenti istituzionali e, grazie anche all’impegno del ministro Moavero, siamo arrivati all’accordo internazionale sui ricollocamenti nella tarda mattinata di venerdì. A quel punto sembrava che lo sbarco, così come promesso dal ministro dell’interno, fosse imminente. Invece i famosi cinque minuti sono diventati cinque ore. È arrivata una lunga perquisizione della Guardia di Finanza, ma nessuna altra notizia. A quel punto la comandante ha convocato tutto l’equipaggio – e ha chiesto anche a noi di partecipare a questa comunicazione – per dire che aveva deciso, per l’incolumità e la sicurezza dei passeggeri della nave, che si dovesse entrare in porto dopo 16 giorni».
Nessuna voglia di sfidare il divieto, dunque?
«Devo dire che non ho trovato in lei nessuna voglia di provocare, anzi da giovedì a venerdì sera sono passate quasi 36 ore in cui si è lavorato insieme. Lei aveva una valutazione diversa dalla mia perché riteneva che il tempo fosse scaduto già da giorni, ma ha fatto una ulteriore apertura di credito dicendomi: “Se lei mi sostiene che si sta arrivando a un accordo sui ricollocamenti e che il Governo ha un impegno, una volta che questo accordo c’è, a farci sbarcare, provo a resistere anche in una situazione così difficile”. Considerate che c’era molta tensione, anche noi parlamentari abbiamo fatto i turni di veglia perché si rischiavano atti di autolesionismo visto che solo chi era malato o ferito poteva sbarcare. La situazione era davvero drammatica. Quando ero ministro ho fatto centinaia di migliaia di operazioni di soccorso quindi conosco il tema anche tecnicamente. Normalmente le operazioni di soccorso si completano, con lo sbarco a terra, entro 48 ore. Si cerca di darsi un paio di giorni, non di più, perché appunto i naufraghi sono in condizioni pessime. Non si può stare permanentemente sul ponte di una nave sotto un telone a 50 gradi quando hai fatto un naufragio e vieni da mesi di detenzione in una prigione libica a cielo aperto. Rimanere in mare 15, 16 giorni sono una crudeltà incredibile. Una disumanità senza precedenti».
La nave però ha toccato la motovedetta della Guardia di Finanza. Lei che stava a bordo cosa ha visto?
«La motovedetta si poneva davanti alla capitana che procedeva molto lentamente cercando di segnalare tutto. Poi, durante l’approdo, loro si sono attraccati e lei ha cercato di andare più avanti rispetto a dove erano posizionati loro, la motovedetta si è spostata e c’è stato un po’ di movimento in cui non si è capito bene. La capitana ha impostato la manovra, poi è rientrata nella cabina di comando da cui probabilmente non vedeva bene gli ultimissimi movimenti della motovedetta. Credo che il problema si astato questo: un errore di manovra o di valutazione errata delle distanze. Certamente non aveva alcuna intenzione di speronare la motovedetta, se avesse avuto quell’intenzione non avrebbe agito così. Procedevamo lentissimamente e si è accostata con molta molta cautela alla banchina. Credo che abbia valutato male le distanze. Che è anche comprensibile in queste situazioni. Ovviamente l’incidente ha provocato paura e sgomento in tutti noi compresi i finanzieri a cui va tutta la mia vicinanza e solidarietà. Stavano facendo il loro lavoro, eseguivano degli ordini. Certamente che se qualcuno avesse dato l’ordine di controllare meglio le centinaia di sbarchi irregolari che stavano avvenendo contemporaneamente a Lampedusa sarebbe stato più profittevole per loro e per il Paese. Ma, ripeto, non è loro responsabilità. Stavano facendo il loro lavoro e hanno tutta la mia solidarietà. Rilevo solo che noi avevamo due o tre motovedette attorno alla nave ferma in rada e intanto decine di persone sbarcavano a Lampedusa senza problemi».
Quando siete arrivati ci sono stati anche pesanti insulti. C’era anche chi applaudiva?
«In banchina c’erano poche decine di persone e in gran parte applaudivano. Non applaudivano l’ex senatrice leghista e pochissimi altri, poi hanno chiamato altra gente e, come al solito in Italia in questo periodo, hanno cercato di alimentare odio ed estremismo invece che buon senso e umanità. Ero sul pontile e ho visto le espressioni spaventate dei naufraghi e dei migranti a sentire queste urla e queste offese. Credo, però, che l’Italia vera non sia questa».
Cosa succederà ora alla capitana?
«Questo lo deciderà a magistratura e ho fiducia nella giustizia. Credo che sia abbastanza evidente a chi è stato su quella nave che non eravamo in compagnia di persone che cercavano lo scontro, ma che, al contrario, volevano risolvere la situazione avendo in mente l’incolumità di chi era a bordo, la loro cura. Io mi sento di testimoniare direttamente questo perché ho visto i medici, ho visto il personale a bordo, i mediatori culturali, gli psicologi che erano impegnati giorno e notte nell’assistenza di queste persone. Non ho trovato alcun atteggiamento di sfida, ma semplicemente il gesto di chi si comporta come una madre che vede affogare il figlio e viola il divieto di balneazione o come un’ambulanza che passa con il rosso in uno stato di necessità, cose peraltro previste anche dal codice penale italiano. Dovevano agevolare l’ingresso, non ostacolarlo. Ho visto invece una chiara volontà di provocare e di esasperare da parte di alcune autorità politiche. Comunque sono fiducioso nell’operato della magistratura: ci sono i filmati a disposizione, ci sono tutte le persone a disposizione per testimoniare. Credo che sia abbastanza evidente la dinamica dei fatti».
Il decreto sicurezza è costituzionale?
«Gli elementi di incostituzionalità, e ce lo dicono anche i nostri esperti, mi paiono molto molto alti. Io sono contrario a questo sistema di gestione. La questione della Sea watch è stata usata come propaganda politica, ma non era un confronto sulle migrazioni e sui mezzi per gestirla. Il confronto vero sarebbe stato sui metodi che si stanno usando e sulla loro inefficacia perché mentre quelle persone a bordo erano in ostaggio molte altre arrivavano impunite e senza alcun problema. Su questo avremmo dovuto discutere, invece siamo stati inchiodati a parlare di un gesto di umanità doveroso secondo le leggi internazionali. Noi faremo battaglia contro queste politiche sulle migrazioni che non portano risultati, ma che alimentano un clima di odio e di violenza in un Paese che avrebbe bisogno di moderazione nei toni e nei linguaggi e di capacità di affrontare i problemi in modo serio. Ma credo che non solo noi, anche chi, bene o male, ha seguito la linea di Salvini si sia reso conto che si è passata la misura, si è passato il segno».