“La dichiarazione del Papa, che è lontano dalla realtà legale e storica, non può essere accettata. I leader religiosi non devono alimentare le tensioni e l’odio con affermazioni infondate”. Con queste parole il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha richiamato in patria l’ambasciatore presso la Santa Sede, mentre ad Ankara il nunzio apostolico Antonio Lucibello è stato convocato per una protesta formale. Ne parliamo con Giorgio Del Zanna, docente di Storia dell’Europa orientale all’Università Cattolica di Milano. Tra i suoi libri “I cristiani e il Medio Oriente”, “La fine dell’Impero ottomano”, “Roma e l’Oriente. Leone XIII e l’Impero ottomano”.
Perché la Turchia ha reagito con un’irritazione così forte?
"In Turchia parlare di genocidio è un tabù legato all’identità e all’origine dello Stato repubblicano. Ancora oggi è un nodo irrisolto. Nel 1920, con il Trattato di Sèvres, le potenze vincitrici della Prima guerra mondiale giustificarono la spartizione dei territori prima appartenuti all’Impero ottomano con la colpa del genocidio armeno. Collegarono una questione territoriale a un problema morale, addossando a un intero popolo il crimine voluto dai Giovani Turchi, cioè del partito politico al potere. All’origine della Repubblica di Atatürk c’è quindi il vittimismo verso questa colpa, la cui rimozione è inscritta nella nuova identità. I turchi riusciranno a liberarsi di questo tabù solo quando sapranno rivedere il loro passato, cancellato nell’ultimo secolo".
Francesco conosceva il rischio della parola “genocidio”, perché ha scelto di utilizzarla?
"Per non eludere la realtà. Ha ripreso il termine usato da Giovanni Paolo II nel 2000, che anche allora provocò la reazione turca. Quella di Francesco è una scelta non dettata dalla prudenza, ma con la sua autorevolezza ha voluto chiedere a armeni e turchi di andare oltre una contrapposizione secolare. L’anno scorso, il Papa aveva espresso apprezzamento quando Erdogan fece, per la prima volta, le condoglianze ai discendenti degli armeni. Anche oggi non ha assunto una posizione antiturca. Parte dalla verità storica per guardare al futuro, chiedendo a entrambi i popoli, che non sono più quelli di un secolo fa, di riprendere “il cammino di riconciliazione”.
La nettezza del Papa è influenzata da quanto succede oggi ai cristiani in Medio Oriente?
"Certamente. Francesco allarga la prospettiva, collocando il genocidio nell’umanità che “rifiuta di imparare dai propri errori”. Non è solo un problema turco. Ha detto domenica: “Anche oggi stiamo vivendo una sorta di genocidio causato dall'indifferenza generale e collettiva, dal silenzio complice di Caino che esclama: “A me che importa?”, “Sono forse io il custode di mio fratello?”” Del resto, come oggi sappiamo quanto sta avvenendo in Iraq e Siria, anche nel 1915 tutti sapevano cosa stava accadendo agli armeni. Lo raccontavano con precisione i giornali italiani ed europei, lo sapevano le diplomazie occidentali. Anche allora, mentre le potenze occidentali tacevano, il Papa intervenne con chiarezza: Benedetto XV scrisse al Sultano Mehmet V per condannare la violenza contro tutti i cristiani, i cattolici ma anche gli ortodossi".
La Turchia accusa il Papa di essere “lontano dalla realtà storica”; la storiografia è unanime nel riconoscere il “genocidio”?
"Sì, quanto meno lo sono tutti gli studi più autorevoli sull’argomento. L’unica eccezione è la storiografia turca che si è sviluppata nel periodo repubblicano, anche se in anni recenti non sono mancati studiosi turchi, come Taner Akçam e altri, che avendo studiato le fonti ottomane ammettono che si è trattato di genocidio".
Gli armeni furono sterminati in quanto cristiani?
"I massacri del 1915 non colpirono solo gli armeni, ma anche gli altri cristiani dell’Impero ottomano: siriaci cattolici e ortodossi, assiri, caldei e greci. Furono sterminati in quanto cristiani, ma i Giovani Turchi avviarono il genocidio con una motivazione politica: temevano che i cristiani potessero diventare la quinta colonna della nemica Russia, alleata con l’Intesa. L’aspetto religioso intervenne quando per trovare alleati allo sterminio tra i contadini anatolici e i curdi insensibili al nazionalismo, si aizzò la popolazione invocando la jihad contro gli “infedeli”. Eppure i Giovani Turchi consideravano l’islam come un fattore di arretratezza e nel 1915 la massima autorità islamica dell’Impero, lo Sheyk-ul-Islam, condannò ufficialmente le violenze contro gli armeni".
Quali furono i rapporti della Santa Sede con la nuova Repubblica di Atatürk?
"Fino alla Prima guerra mondiale il Vaticano era stato filo-ottomano perché vedeva nell’Impero uno spazio di pluralismo e di garanzia per i cristiani in Medio Oriente. Con la nuova Repubblica laica e nazionalista, mentre la presenza cristiana diminuiva, i rapporti furono più complessi, anche perché la Chiesa cattolica non godeva di uno statuto legale riconosciuto. Le cose cambiarono nel 1935 con l’arrivo di Angelo Roncalli come delegato apostolico. Il futuro Giovanni XXIII costruì un rapporto di amicizia e simpatia verso la gente e le autorità turche, passi che furono la premessa all’apertura di relazioni diplomatiche tra Roma e Ankara nel 1950. Da allora la Turchia ha rappresentato uno scenario importante per la Santa Sede, perché percepita come un ponte con il mondo musulmano e perché sede del Patriarcato di Costantinopoli, cioè del principale interlocutore ecumenico".
È corretto spiegare la reazione turca verso il Papa con la svolta autoritaria di Erdogan?
"Peraltro il ministro degli Esteri ha comunicato la sua irritazione via Twitter, uno dei social media temporaneamente oscurati la scorsa settimana… Erdogan deve sempre tener conto dei nazionalisti, verso cui non può mostrarsi troppo debole. A giugno ci saranno le elezioni parlamentari e non vuole una fuga di voti verso i nazionalisti del Mhp. Ma in Turchia il nazionalismo è sempre l’elemento dominante da un punto di vista culturale, prima ancora che politico. Tuttavia Erdogan ha compiuto anche gesti in direzione opposta: il restauro della Chiesa armena della Santa Croce di Akhtamar, sul lago di Van; la rimozione nel 2008 del presidente della Società di storia turca per aver definito una “totale falsità” il genocidio armeno; nel 2008 l’avvio del dialogo politico con lo Stato di Armenia; le condoglianze dello scorso anno".