Leggo in questi giorni affermazioni da parte di “addetti ai lavori” che mi fanno riflettere; sono molte le persone che per anni sono state in prima linea nella lotta al disagio, ognuno con i propri ideali i propri valori e la propria filosofia di intervento, e purtroppo, in alcuni casi, con una logica che desta non poca preoccupazione.
Avverto a volte informazioni pericolose che cercano di spiegare il disagio in generale, in termini prettamente logico-scientifici, causa-effetto, creando troppo spesso false speranze o dando messaggi distorti e incompleti a chi (senza avere reali competenze in materia) cerca risposte alle proprie sofferenze e fatiche.
Siamo noi adulti i primi a doverci mettere in crisi interrogandoci sul nostro ruolo nei confronti dei giovani fin dalla prima infanzia.
La cultura nichilista che domina nei giovani è frutto della distruzione dei valori tradizionali che ha preso il sopravvento e ha travolto le ultime generazioni senza chiederci neppure il permesso, senza lasciarci minimamente il tempo per riflettere “se sia giusto questo o quello” aprendo le porte a morali ad personam.
Il sistema più efficace sul quale fare leva sono convinto sia quello familiare. Per ogni giovane è fondamentale percepire l’interessamento da parte dei propri genitori e ciò risulta davvero un fattore preventivo. Quella prevenzione che induce a guardarsi allo specchio, ognuno con i suoi tempi, e a riscoprire quel frutto positivo che nel cammino della sua vita le relazioni significative gli hanno dato.
Queste relazioni non possono però prescindere da una chiara e definita presa di posizione rispetto a valori di riferimento e confini all’interno dei quali i ragazzi sono chiamati a muoversi nel delicato cammino di crescita. Valori e confini che sono gli adulti, con la loro coerenza e la loro costanza, a dover instancabilmente dare e ricordare.
Troppo spesso, specialmente negli ultimi decenni, si fa strada una concezione di bambino come persona a sé stante, in grado di scegliere e decidere per sé fin dalla primissima infanzia, verso il quale il genitore ha come unico compito quello di ‘lasciar fare’. Questo contribuisce a generare ragazzi autoreferenziali e adulti incapaci di trasmettere le necessarie regole, giovani incapaci di tollerare frustrazioni o dinieghi e genitori che non sono in grado di reggere il confronto e sostenere con un dialogo efficace le proprie decisioni.
Forse, quindi, è il caso di chiedersi quale sia la nostra idea di educazione.
L'adolescente ha un continuo bisogno di stimoli, di sensazioni, di novità. Sembra voler dire ogni giorno che ‘è la novità che ti fa sentire vivo’, se manca ciò rimane il vuoto e la costante ricerca di qualcosa che nemmeno loro sanno.
C’è in loro la tendenza a considerare e vivere soltanto il presente, cercando nel qui e ora quella scarica di adrenalina che permette di riconoscersi in qualcosa. E, in questa modalità di azione, in assenza di una moralità e di uno stile di vita interiorizzato profondamente, emerge la mancanza di progettazione, di costanza, di continuità agli impegni legata alla fatica ad accettare regole e convenzioni essenziali in una vita sociale.
Sempre più sono i giovani che vivono un malessere connotato da insoddisfazione verso la vita e che spesso trovano nella costante ricerca di trasgressione o nelle sostanze, in particolar modo in questo ultimo periodo nell’eroina, una pseudorisposta ai tanti interrogativi di senso. Che cosa cerca un giovane, o non giovane, nella trasgressione? Qual è il suo concetto di normalità? E quindi che cos’è la normalità?
La sfida educativa oggi deve essere aiutare il giovane a capire l’importanza del prendersi cura di sé, indurlo a sposare quelle scelte di vita e quelle proposte esperienziali in modo che diventino realmente promozionali e vincenti.
E allora, aiutiamo i giovani a gustare le esperienze, accompagniamoli per mano, ma delicatamente, alla scoperta del mondo che troppo spesso fa paura perché richiede la fatica di mostrarsi per come si è; questo richiede una sicurezza che si costruisce fin dalla prima infanzia attraverso lo sviluppo della tolleranza alla frustrazione parallelamente alla scoperta dei propri punti di forza e valore.
Penso che la sfida da affrontare sia proprio quella di aiutare le famiglie a guardarsi dentro, a lasciarsi interrogare dai problemi interni al loro sistema e di conseguenza cercare di guardare alla difficoltà come qualcosa che devono affrontare, facendosi aiutare e non lasciandosi travolgere.
Oggi più che mai viviamo in un mondo dove i legami familiari non sono lineari e chiari, manca la consapevolezza di che cosa rappresenti un problema e quando ci si accorge che qualcosa non va è troppo tardi.
Aggredire i primi segni di disagio in fretta è fondamentale in modo da lasciare poco tempo perché si radichi nella vita delle persone lasciando segni più in profondità.
Avvicinarsi ai giovani, specialmente da genitori, richiede di correre il rischio, perché ti scomodano, ti mettono in crisi, ti lanciano sfide, ti chiedono molto… ma non è forse questo che chiediamo noi a loro? Mettersi in crisi, rischiare, accogliere la sfida, cambiare… e come possiamo chiedere a loro di farlo se noi per primi non siamo disposti a metterci in gioco in questo modo?
Proviamo a stare un po’ con i giovani, accompagniamoli nelle fatiche e nelle sofferenze, andando oltre tutto ciò che la nostra coscienza e il nostro sguardo vede, e proviamo a chiederci perché un giovane nell’incontro con l’altro non cambia. Quanti sono stati gli interventi verso di lui, ma non con lui...
Insegnare all’altro significa anche condividere ed essere coerenti, ma non a spot o solo quando scoppia l’emergenza o il caso mediatico. Solo imparando fin da piccoli a volersi bene, attraverso il riconoscimento delle proprie qualità e capacità all’interno di un preciso stile di vita, saranno pronti ad affrontare in modo costante i propri progetti, condividendone il gusto con gli altri senza la necessità di nascondersi dietro uno schermo o di rompere schemi che non sentono loro.
Questo mi confidava uno di loro in questi giorni: ‘Non è detto che tutto ciò che dico lo penso, e ciò che ti dico e penso non è detto che io lo senta’.
Questa è oggi la sfida educativa, arrivare al cuore, al mondo emotivo dei giovani, solo così potremo raggiungere un cambiamento (in loro ma anche in noi) e arrivare insieme, tutti, al traguardo.