Milanese, quarantenne, attrice di teatro (Un uomo mortale, Prima che il gallo canti) e televisione (Centovetrine, Carabinieri, La squadra, Butta la luna e altri programmi), conduttrice radiofonica (Radio in blu, Nessun luogo è lontano), giornalista, autrice di un fortunato libro autobiografico (Più forte del destino) da cui ha tratto uno spettacolo teatrale da portare in giro per l’Italia, Antonella Ferrari aveva cominciato giovanissima con la danza, ma aveva dovuto abbandonare la carriera “sulle punte” perché colpita da sclerosi multipla.
– Una mazzata per la sua passione artistica...
«Per fortuna ho un carattere forte, non mi lascio vincere dalle avversità. Ho studiato recitazione e ho raccolto la sfida di dimostrare che una brava artista non deve necessariamente essere di sana e robusta costituzione. Anzi, da un certo punto in poi, non ho più neppure cercato di nascondere la mia malattia, presentandomi ai provini con le mie stampelle colorate. E alla fine l’ho spuntata. Nel 1999 fui scelta per interpretare un cortometraggio il cui regista, Roberto Palmieri, voleva un’interprete realmente disabile per il ruolo di protagonista. L’opera fu presentata in concorso al Festival del cinema di Bruxelles e vinsi il premio come migliore attrice. Quel corto, Come un fantasma, divenne il mio biglietto da visita e mi portò buono».
– Sono importanti le arti espressive per aiutare i disabili ad affermare la propria personalità?
«È importante avere uno scopo. Per me era diventare attrice, calcare le tavole del palcoscenico. Per altri, può essere prendere una laurea, studiare musica, imparare a dipingere, e così via. Bisogna saper riempire le giornate, non lasciare che la malattia diventi protagonista della propria vita».
– Quali sono i problemi ancora da risolvere per rendere la nostra società più aperta verso la disabilità?
«Ce ne sono parecchi, uno è quello della comunicazione. Si tende a parlare di disabilità con toni sopra le righe, mentre i disabili non sono né martiri né eroi, sono persone che vivono una
loro normalità, non sono eccezioni, ed è questo che dovrebbe essere sottolineato. Non mi piace, inoltre, che si dica che la malattia è un’opportunità. Al contrario, è una sfortuna, ma bisogna
saper reagire giocandosi la partita con un atteggiamento positivo e il più possibile sereno, senza piangersi addosso».
– Ballerina, attrice, giornalista, scrittrice. Le manca solo di cantare al Festival di Sanremo. Quali i prossimi traguardi?
«Innanzitutto, proseguire le repliche del mio spettacolo teatrale, che racconta in maniera disincantata la mia battaglia contro la malattia e il desiderio di avere una vita a colori. È una voglia che cerco di infondere negli altri anche attraverso il mio ruolo di madrina dell’Associazione italiana sclerosi multipla e la partecipazione a Reatech, dove condurrò “Il salotto di Antonella” in cui saranno raccontati al pubblico le storie, le sfide, i piccoli grandi successi delle persone disabili. Andrà poi in onda prossimamente su Rai 1 la fiction Un matrimonio, che mi ha tra i protagonisti sotto la direzione di Pupi Avati. Quanto al Festival di Sanremo, non mi ci vedo in veste di cantante, però mi piacerebbe essere chiamata da Fabio Fazio, il quale sa apprezzare le donne per la loro simpatia e intelligenza: che bello se, tra le sue compagne di lavoro, ce ne fosse una con le stampelle che sa ironizzare su sé stessa».
– Speriamo allora che Fazio legga Famiglia Cristiana e prenda nota...
«Me lo auguro anch’io!».