L’arresto e la deposizione di Omar Hassan al-Bashir, per quarant’anni padrone assoluto del Sudan, segnano la caduta di un altro dei “dinosauri” attaccati al potere. Omar al-Bashir governava con il pugno di ferro dal colpo di stato del 1989. Il suo è stato un regime autoritario che non ha esitato, nel corso degli anni, a fiancheggiare i principali movimenti islamisti radicali (come Al Qaeda). Il regime di al-Bashir ha inoltre appoggiato le bande Janjaweed, responsabile di massacri e violazioni dei diritti umani nella regione del Darfur. Proprio per il sostegno dato al genocidio in Darfur fra il 2003 e il 2008 (400 mila civili uccisi), Omar al-Bashir era stato accusato di crimini contro l’umanità e crimini di guerra dalla Corte penale internazionale dell’Aja. Su di lui ci son due mandati di arresto, uno emesso nel 2009 e l’altro nel 2010.
Nonostante queste accuse, al-Bashir è rimasto in sella per decenni, ma ha capitolato dopo le proteste popolari cominciate nel dicembre scorso in seguito all’aumento del prezzo del pane. Le proteste sono cresciute nelle prime settimane del 2019 e non sono mancati gli scontri con la polizia, gli arresti, i morti (almeno 38). Alla fine ci ha pensato l’esercito a porre fine al lungo regno del presidente. Dall’11 aprile al-Bashir è agli arresti. Il suo destino è incerto: potrebbe essere giudicato in Sudan, meno probabile la sua consegna alla giustizia internazionale.
Ora in Sudan il potere è in mano a militari. È in vigore per tre mesi lo stato di emergenza e la costituzione è sospesa. I militari hanno promesso di gestire un periodo di transizione che dovrà portare a nuove elezioni. Il periodo di transizione avrà una durata massima di due anni, un termine non proprio rassiucurante.
Il generale Omar Zain al-Abidin, che presiede il comitato politico del nuovo governo transitorio, ha dichiarato: “Voi, il popolo, darete le soluzioni per le questioni economiche e politiche. Noi non abbiamo ideologie, siamo qui per mantenere l’ordine e la sicurezza per offrire al popolo sudanese l’opportunità di raggiungere il cambiamento al quale aspirano. Non abbiamo l’ambizione di tenere le redini del potere”.
Parole rassicuranti solo in parte, dal momento che nel consiglio militare ci sono uomini compromessi con molti dei misfatti compiuti dal regime di al-Bashir. Per questo motivo i leader della protesta restano mobilitati nel timore che il governo dei militari sia sono una continuazione del vecchio regime.