Il problema è il cerino, non la stanza. Chi ha incendiato un ambiente, il nostro Paese, saturo da tempo di rabbia pronta a esplodere? La crescente pressione fiscale che toglie il respiro, il lavoro che si fa merce rara, il futuro dei padri sempre più nero e quello dei figli sempre più incerto, una casta - quella dei politici - sorda e distante, una serie di (ex?) opportunità, l'Europa in testa, vissute come impiccio e non più come risorsa: tutto è noto da tempo. Molto è condivisibile. Resta da capire perché l'esasperazione abbia vestito i panni della rivoluzione proprio a partire dalle 5,30 di lunedì 9 dicembre, nel freddo di alcune piazze torinesi. Un quesito non da poco. Una domanda rimasta finora senza una risposta certa. O quanto meno univoca.
A qualche giorno dall'inizio della protesta, è tuttavia possibile riepilogare i fatti seguendo alcuni criteri. Che offrono perlomeno qualche indizio. La cronologia, innanzitutto. L'avvio delle manifestazioni avviene, come detto il 9, guarda caso all'indomani di un week end di ordinaria democrazia: era nato ufficialmente il Nuovo Centrodestra, la Lega Nord e il Pd avevano svolto le loro primarie. Forse qualcuno trova troppo faticoso declinare idee, programmi, obiettivi, alleanze preferendo gli slogan urlati al civile confronto.
Secondo: il leader. Si presenta come il Robin Hood italiano, ma non disdegna di viaggiare in Jaguar (per quanto di un amico camionista e pure pignorata) . Danilo
Calvani è un contadino cinquantunenne della provincia di Latina,
con studi da ragioniere non terminati. Dicono che abbia forti simpatie
per la destra. Lui sostiene di aver votato Dc e Psi, poi una volta
Forza Italia e un'altra ancora i Verdi. Quando si candidò sindaco dalle
sue parti, aggiunge, lo fece in una lista civica. Non la spuntò. Una cosa è certa. Già
sul finire della scorsa settimana, nel sito della sezione torinese
dell'Anpi (Associazione nazionale partigiani d'Italia) si poteva leggere
che a San Mauro Torinese, in un'affollata assemblea Danilo Calvani
aveva rivendicato «la costituzione di un Governo temporaneo magari con
una figura militare di riferimento». Una battuta? Se sì, è stata a dir
poco infelice.
Terzo. I protagonisti della piazza. Di destra, tanti. Qualcuno di
sinistra, appartenente a centri sociali. Molti ultrà, di più squadre.
E poi, sì, anche autotrasportatori, ambulanti, disoccupati, manciate di
studenti. Qualche contadino. Insomma, gente normale. Ma dietro. Non in
prima fila. Quarto. I facinorosi. Sono quelli che hanno tirato
pietre, quelli che sono passati di negozio in negozio a minacciare guai
in caso di mancata chiusura, quelli che hanno bloccato senza tanti complimenti le mamme
in perenne conflitto con l'orologio, i minuti contati per portare i
figli a scuola e poi schizzare al lavoro.
Non ce n'è ancora abbastanza per trarre conclusioni precise, attendibili. Ma
ce n'è a sufficienza per far a dire ad Angelino Alfano, ministro
dell'Interno, di temere "una deriva ribellistica genericamente
indirizzata contro istituzioni nazionali ed europee a cui non farebbero
mancare proprio sostengo organizzazioni antagoniste". Anche l'intelligence (in
particolare l'ex Sisde, oggi Aisi) si dimostra preoccupata: le
manifestazioni legate al cosiddetto movimento dei Forconi "mancano di
una regia unica", dicono gli 007, ma la possibile saldatura della
protesta a livello territoriale impone di tenere "elevato il livello di
attenzione".
Il sindaco di Bari, l'ex magistrato Michele Emiliano, fa un passo oltre. «Abbiamo
due importanti leader politici come Beppe Grillo e Silvio Berlusconi
che per vie diverse sostanzialmente ispirano questa protesta chiedendo
l'uno ai Carabinieri di disobbedire ai loro comandanti e l'altro dicendo
che "se mi arrestano faremo la rivoluzione"». Nell'analizzare
natura e strategie del movimento dei "forconi", l'ex Pm punta il dito
anche contro le mafie: «La criminalità organizzata è presente, anche
mie vecchie conoscenze ad Andria e Barletta. Roma si svegli,
dia risposte, o prevarrà il caos».