Caro padre, il cappellano del Beccaria afferma, nell’intervista che avete pubblicato, che a lui non importa quale reato abbiano commesso i ragazzi lì detenuti. Certo, al don nulla importa, però penso che alle vittime di quei reati o ai loro familiari qualcosa importi, o no? Facile fare il misericordioso quando non si è colpiti in prima persona e le sciagure e le violenze riguardano gli altri. Mi ha colpito anche la frase: «Il giudizio lasciamolo a Dio». È quello che dicono i delinquenti, i mafioosi che affermano di sentirsi come Gesù Cristo in croce e che solo il Padreterno li potrà giudicare. Mi chiedo quando nirà questo buonismo ipocrita che confonde vittime e carneci, riconoscendo a questi ultimi diritti che alle prime sono vergognosamente negati.
SALVATORE RUSSO
Caro Salvatore, se i ragazzi di cui parla don Gino Rigoldi si trovano al Beccaria, cioè in carcere, hanno ovviamente ricevuto una condanna e stanno scontando la pena per quello che hanno commesso. Il cappellano non chiede che vengano liberati, come se fossero innocenti. Quindi non c’è nessun buonismo da parte sua. Né vengono negati i diritti delle vittime. Si tratta invece di recuperare queste persone, peraltro ancora molto giovani, perché ritrovino il senso della propria vita e possano reintegrarsi così nella società. Non si tratta di facile misericordia, ma di impegno per ricostruire un’esistenza autentica. Per questo, al di là del reato commesso, di cui si occupa la giustizia umana, bisogna instaurare un dialogo con la persona perché ritrovi sé stessa. E, sperimentando almeno un po’ d’amore, scopra che ciascuno di noi è fatto per compiere il bene.