La Chiesa? «È casa mia, io sono cattolico». L’endorsement risale al luglio 2016, nel chiostro di Santa Maria sopra Minerva, a Roma, dove Luigi Di Maio, candidato premier in pectore del Movimento 5 Stelle, dialogava sull’Europa con il gesuita Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica”. L'ambiente? «Tra noi e la Chiesa», spiegava a fine maggio in un convegno sulla Laudato Si’, «ci sono sicuramente affinità sul tema della sostenibilità ambientale ma dobbiamo smetterla di guardare al Vaticano come ad un partito politico con cui allearci. Certo, ci sono punti, come questo, su cui la pensiamo allo stesso modo e parlarne è una cosa del tutto naturale». Le scuole paritarie? «Oggi sopperiscono alle mancanze della scuola pubblica. Lo Stato dovrebbe investire di più nella scuola pubblica affinché le paritarie possano restare una scelta educativa libera della famiglie. Non possiamo sempre sopperire alle mancanze dello Stato con le paritarie». I negozi aperti la domenica? «Con l’eliminazione degli orari di chiusura degli esercizi commerciali ad opera di Monti e del Pd, si sono messe in competizione piccole botteghe e grandi centri commerciali, scatenando una concorrenza al ribasso che ha ottenuto come unico risultato lo sfaldamento del nucleo familiare del negoziante e dei dipendenti». Le Ong che operano nel Mediterraneo? «Taxi del mare, bisogna chiudere i nostri porti a tutte le Ong. A monitorare le acque e salvare vite umane ci penseranno la Marina e la Guardia costiera, come è giusto». La legge sullo ius soli? «Invotabile così com’è, aumenta i migranti, il tema è da affrontare in sede europea. Per noi le priorità sono altre» (giugno 2017).
Sui temi etici e dell’immigrazione, il Di Maio pensiero è simile a quello di un surfista che insegue l’onda. Inevitabile, in un partito (ops, movimento) che su questi argomenti pensa, dice e fa tutto e il contrario di tutto.
Beppe Grillo con Di Maio
Quando nel 2013 proponeva uno ius soli molto più generoso di quello contestato oggi
Non a caso, appena sbarcato a Montecitorio, Di Maio lo chiamarono subito «il grillino democristiano». Completo total blue, cravatte rassicuranti, faccia da bravo ragazzo, grande aplomb nei talk show televisivi dove andava regolarmente nonostante Beppe Grillo lanciasse bordate e scomuniche a mezzo blog. Rassicurante ed ecumenico. Di lotta e di governo, barricadiero e istituzionale a seconda delle convenienze politiche. Si scaglia contro i vitalizi dei parlamentari (aboliti nel 2012) e alla conferenza stampa ricorda di aver chiesto e ottenuto, chissà perché, «la rimozione dei vini di pregio dalla buvette della Camera». Sullo ius soli prima dell’estate alla Camera si è astenuto precisando, però, che «noi non stiamo con la Lega». Ignorando, soprattutto, che nel 2013 lui, insieme ad Alessandro Di Battista e agli altri big del partito, aveva presentato una proposta di legge che prevedeva la cittadinanza per le persone nate in Italia da coppie di stranieri se almeno uno dei genitori avesse avuto un permesso di soggiorno di lungo periodo e avesse risieduto in Italia per almeno tre anni. Oppure, potevano ottenere la cittadinanza i figli di cittadini stranieri che avessero compiuto almeno un ciclo scolastico nel nostro paese. Insomma, una versione di ius soli assai più “generosa” di quella che contesterà quattro anni dopo.
Ora, a soli 31 anni, una manciata di voti (59 alle comunali a Pomigliano d’Arco, 189 nel 2013 per la Camera) e dopo una serie di congiuntivi ballerini e gaffe divenute virali sul web (dalla raggelante definizione di «lobby dei malati di cancro» a un fantomatico «Pinochet in Venezuela»), Luigino Di Maio sarà il candidato premier e il capo politico del Movimento che dopo anni di “vaffa” punta al bersaglio grosso di Palazzo Chigi.