Gli anticorpi per fortuna ci sono. Anche se forse non bastano. E per un’Italia che, avallata da politiche statali antieconomiche, gioca in massa d’azzardo, ce n’è un’altra che resiste e contrattacca. Oltre 32 città coinvolte, migliaia di persone, singoli e associazioni mobilitate. Stiamo parlando della campagna Slot Mob, un movimento di ribellione civile che continua a espandersi da Nord a Sud. Uno dei promotori è Luigino Bruni, studioso del Terzo Settore, docente di Economia all’Università Lumsa di Roma e sostenitore dell’economia di comunione. «L’azzardo», spiega, «è una metafora del tardo capitalismo che mostra la perversione di questo sistema economico: imprese che un tempo facevano prodotti del Made in Italy ora si sono buttate nell’azzardo. È un cancro ormai ben radicato grazie anche alle connivenze con lo Stato che rilascia le concessioni, che incassa soldi che sono molto di più di quelli che spende per curare le dipendenze che crea».
La campagna "Slot Mob" sta andando bene.
«Sì, per fortuna. Di fronte a questa malattia abbiamo voluto lanciare una campagna di speranza sostenendo tutti quei locali, dai bar alle tabaccherie, che hanno deciso di togliere le slot o di non vendere più i Gratta e vinci. Poi segnaliamo questi esercenti coraggiosi sui social network e organizziamo aperitivi anti azzardo e tornei di biliardino e calcio balilla».
Il mondo cattolico, dalle parrocchie alla Caritas, si è mobilitato.
«Sicuramente anche se non mancano le ambiguità dovuti alla mancanza di senso critico e ragionevolezza».
A cosa si riferisce?
«Ci sono alcuni vescovi, ad esempio, che faticano a convincere i loro parroci a togliere le slot machine dalle sale parrocchiali perché dicono di perdere qualcosa. Che poi è logica che ha portato le Acli a fare una campagna durissima per togliere le slot dai loro circoli. Una volta mi sono rifiutato a fare una conferenza in una sala parrocchiale dove c’erano delle slot. Come si fa a parlare di Vangelo accanto alle macchinette? Poi ci sono altre ambiguità, molto più pesanti».
Quali sono?
«Nascono dal cinismo per cui siccome l’azzardo esiste, usiamolo a fin di bene. Si possono fare molti esempi: c’è una parte molto importante del no profit italiano che riceve donazioni delle concessionarie del gioco come Lottomatica e Sisal le quali per legge devono destinare una percentuale del 10-15 per cento dei loro utili per scopi culturali e di solidarietà. O i Gratta e Vinci dove c’è scritto che una parte delle entrate andranno all’ospedale Meyer di Firenze. Ad esempio, Lottomatica, da due anni, e Sisal, da quest’anno, le due maggiori aziende italiane dell’azzardo, sono tra gli sponsor del Meeting di Rimini organizzato da Cl. Poi c'è il Csi (Centro sportivo italiano) che è partner del Villaggio dello Sport di Lottomatica. Ma siamo davvero sicuri che questi soldi che nascono da strutture di peccato come l’azzardo possano essere davvero utili per fare qualcosa di buono o ispirato ai valori cattolici? C’è chi pensa di sì, io dico di no. Su queste cose non si può essere ambivalenti o scendere a compromessi».
Come se ne esce, professore?
«Con più chiarezza e coerenza. E poi facendo una legge seria con cui affidare la gestione di queste sale gioco ad aziende no profit che non fanno speculazione un po’ come i Monti dei pegni che furono inventati e gestiti dai francescani e dalle parrocchie. Così, se una famiglia arrivava a vendere l’oro per disperazione trovava persone che non si accostavano all’oro per fare soldi ma gestivano queste pratiche con pietas. L’errore che abbiamo fatto negli ultimi anni è aver affidato ad aziende di profitto la gestione di problemi e patologie. È come se affidassimo le comunità di cura dei tossicodipendenti a chi produce droga».
Dal punto di vista economico e sociale qual è il messaggio lanciato dallo Stato che incentiva l’antieconomia dell’azzardo?
«Sono tanti messaggi, tutti negativi. Il primo è quello di incentivare consumi di mali non di beni. Secondo: alimentare un settore che è molto vicino all’illegalità e agli interessi della criminalità organizzata. Abbiamo combattuto decenni per togliere la pubblicità delle sigarette e ora la Rai, che è servizio pubblico, fa pubblicità al gioco d’azzardo salvo dire, ipocritamente, “gioca il giusto”. Che è un po’ come dire: “fuma il giusto o drogati senza esagerare” Persino l’Istat ha inserito l’azzardo tra i consumi culturali equiparando l’imprenditore che produce beni culturali con i biscazzieri. Terzo: l’azzardo sottrae cento miliardi di euro di fatturato all’economia buona che chiude per mancanza di domanda. Tutti i soldi che buttiamo in slot, scommesse e Gratta e vinci sono soldi che non vengono spesi per acquistare beni e servizi. L’Italia si è avvitata su se stessa anche per queste politiche sciagurate. All’estero non è così».