150 strumentisti, di cui 125 nella “buca” dell’orchestra ed altri sparsi per la sala o diffusi dagli altoparlanti, 22 cantanti, una partitura sterminata: Die Soldaten (I soldati) di Bernd Alois Zimmermann (autore tedesco nato nel 1918 e morto a soli 52 anni) “è l’opera più complessa della storia della musica”, secondo il direttore d’orchestra Ingo Metzmacher ed il regista Alvis Hermanis.
Sabato 17 gennaio è giunta sul palcoscenico della Scala, in quello che è considerato l’evento della Stagione 2014-2015. “E’ stato il mio primo grande successo a Salisburgo - aveva ricordato a pochi giorni dalla prima Alexander Pereira che del Festival è stato direttore artistico - e spero lo sia anche qui alla Scala. Perché è un allestimento che ho seguito passo passo, sin dalla fase del progetto. E’ piaciuto al mio predecessore Lissner e lo abbiamo coprodotto: arrivando qui alla Scala lo ritrovo, ma in una versione nuova rispetto a quella di Salisburgo. Perché qui il palcoscenico è più piccolo, e la scena l’abbiamo sviluppata in verticale. Ma per la prima volta riusciamo a fare suonare tutti gli strumentisti voluti da Zimmermann: in altre occasioni una parte veniva registrata”.
Che opera è Die Soldaten e chi era l’autore? Ingo Metzmacher: “L’opera è stata spesso paragonata al Wozzeck di Berg. Come in Wozzeck la musica è molto ordinata, organizzata in forme e quadri. Ma è ancora più complicata e difficile da eseguire”. Come mai? “Per via dell’orchestra immensa, del complesso jazz, dei percussionisti, e del grande numero di personaggi. All’inizio del quarto atto c’è un momento impressionante, in cui tutti cantano insieme. Mentre nel terzo atto c’è un terzetto di mirabile bellezza. Certo l’impatto sul pubblico è molto forte e tutta la partitura è scritta con la tecnica dodecafonica. Ci sono citazioni di Bach, ma non dobbiamo dimenticare che Zimmermann era un credente, anche se la sua era una fede molto tormentata. Zimmermann firmava le sue partiture con Deo Gratias: non per nulla l’opera inizia e finisce con un Re ed in tedesco la nota Re si scrive D”.
“Anche chi non è attratto dalla musica moderna ne rimane affascinato", sottolineava Alvis Hermanis, lettone come Jakob Lenz (1751-1792), l’autore del libretto. “Die Soldaten è nata in un contesto politico molto particolare, gli anni ’60. Zimmermann era un pacifista e voleva dire la sua parola. Oggi i contesti sono cambiati. Perfino il significato di “esercito” è cambiato: perché per esempio per me “esercito” vuole dire anche “Nato”, cioè protezione, indipendenza. Ma noi abbiamo mantenuto lo spirito di Zimmermann: e la storia narrata è diventata più metaforica, poetica, astratta. Racconta il conflitto fra innocenza e brutalità”.
Giudicata inseguibile nel 1960, modificata e poi rappresentata nel ’65 ed andata in scena in più occasioni, Die Soldaten è stata accolta alla Scala da un successo vibrante. Per una parte degli spettatori la musica è difficile: ma lo spettacolo è di una straordinaria bellezza: pur nella crudezza e quasi crudeltà dell’assunto narrato e rappresentato. Con immagini forti, esplicite che sottolineano l’aggressività, la perversione di un ambiente militare (metafora di ogni tipo di violenza e prevaricazione) che costringe una giovane donna, Maria, a divenire vittima della brutalità maschile. E se Ingo Metzmacher ha dominato la massa musicale rendendo tutto levigato, semplice, vibrante, i cantanti sono parsi di un livello altissimo: stellare la protagonista Laura Aikin. E, quel che più conta, Die Soldaten è parsa oggi di assoluta attualità: capace cioè di tradurre in linguaggio poetico i drammi, le domande, i conflitti del nostro tempo.
L’opera si conclude con l’intonazione di una preghiera, una nota che si spegne ed il grido della protagonista-vittima: un finale che scuote i cuori e risveglia le coscienze degli spettatori.