Altroconsumo fa i conti in tasca all’euro a quasi dieci anni dalla sua introduzione. E scopre che, mentre l’inflazione è cresciuta in media del 2,3 per cento l’anno, ci sono casi di aumenti molto superiori. Ecco una veloce carrellata tra i prezzi prima dell’arrivo della moneta unica confrontati con i livelli attuali (per la precisione, tra maggio 2001 e maggio 2011).
Cereali. Il loro indice, dice Altroconsumo, pur mantenutosi al di sotto dell’aumento generale del costo della vita fino al 2007, è in realtà salito nei dieci anni del 33 per cento, dieci punti in più dell’inflazione, a causa dell’esplodere della bolla dei cereali. Una volta rientrata l’emergenza, tuttavia, il prezzo del pane non è sceso ai livelli precedenti. Secondo l’associazione, dunque, si tratta di “una tipica dinamica speculativa”.
Altre categorie merceologiche sono cresciute parecchio. A cominciare dalle bevande alcoliche e dai tabacchi, il cui prezzo è cresciuto del 53 per cento, dalle bollette dell’acqua e del gas (+52 e +34 per cento), dai combustibili (+35 per cento) e dai trasporti (+35 per cento).
Fra i settori meno colpiti dai rincari, invece, spicca quello delle comunicazioni (le tariffe sono scese del 27,9 per cento). Hanno registrato incrementi sotto la media anche il settore sanitario (+2,8 per cento), quello ricreativo e culturale (+10,9 per cento), l’abbigliamento e le calzature (+17,9 per cento) e l’arredamento (+20,5 per cento). Leggermente sopra la media, invece, il trend fatto registrare dalle spese per l’istruzione (+26,5 per cento) e per i servizi ricettivi e di ristorazione (+28,9 per cento).
Insomma, per Altroconsumo “non possiamo dire che il passaggio all’euro, dopo dieci anni di moneta unica, abbia rappresentato un salasso per i consumatori; fatta eccezione per il biennio 2007-2008, l’inflazione, in fondo, è cresciuta in modo fisiologico”. Però, è vero anche che negli ultimi dieci anni gli italiani si sono impoveriti. “Se i prezzi in media sono saliti del 21 per cento, non altrettanto ha fatto il loro reddito pro capite (+14 per cento)”. Per i consumatori, quindi, “il risultato è che il nostro potere d’acquisto si è ridotto (-7 per cento), influenzando alcuni comportamenti di spesa”.