Il cardinale Edgar Mccarrick, 88 anni.
(Nella foto in alto e in copertina, monsignor Carlo Maria Viganò, 77 anni)
Il caso aperto dal documento pubblicato tra il 25 e il 26 agosto dall’ex nunzio Carlo Maria Viganò con l’aiuto di altri (alcuni nomi li conosciamo, altri ancora no) è appena iniziato. Si trascinerà per molto tempo, in una stagione di scandali che è il secondo tempo della crisi scoppiata all’inizio del secolo, tra la fine del pontificato di Giovanni Paolo II e il pontificato di Benedetto XVI.
Rispetto alla prima fase dello scandalo degli abusi, esplosa a Boston nel 2002, siamo in una nuova fase, in America e non solo, per diversi motivi: ma soprattutto perché ora la crisi è chiaramente globale, una crisi in cui tutte le strade ora portano a Roma e in Vaticano. Questo è accaduto nel fine settimana scorso col memoriale Viganò. Quel documento è figlio delle ambizioni frustrate di carriera di un diplomatico vaticano e di una agenda ideologica del cattolicesimo anglofono (con alcune filiali europee) di marca tradizionalista. Questa agenda costituisce la seconda grande differenza rispetto al 2002, quando il pontificato di Giovanni Paolo II (col cardinale Ratzinger all’ex Sant’Uffizio) costituiva un argine rispetto a quelle frange che solo qualche anno prima avevano scelto la via dello scisma formale di Marcel Lefebvre. Le accuse a papa Francesco contenute nel memoriale Viganò sono perfettamente coerenti con la mentalità settaria di questo cattolicesimo anglofono tradizionalista; sorprende un po’ di più che a dare loro voce sia un diplomatico vaticano, il quale si presta a una agenda eversiva della comunione cattolica. La miscela tra lo scandalo degli abusi sessuali commessi dal clero e le “guerre culturali” tra cattolicesimo tradizionalista da una parte e progressista dall’altro stanno infatti mettendo a rischio l’unità stessa della chiesa cattolica in un paese come gli Stati Uniti, che è l’epicentro dello scandalo ma anche uno dei paesi più importanti nel cattolicesimo globale oggi. Contrariamente a quanto ci si poteva legittimamente aspettare, i vescovi degli USA non hanno preso posizione unitaria in difesa di Francesco; alcuni vescovi hanno addirittura preso pubblicamente le parti di quel Viganò che chiedeva le dimissioni del papa. Questo ci dice che affrontare e superare la crisi degli abusi sessuali non ha più solo a che fare con la possibile santità della chiesa, ma anche con la sua unità – o la possibile rottura dell’unità.
Il Papa è chiaramente sotto attacco per motivi che sono altri rispetto all’emergenza della questione degli abusi sessuali, e che vanno ricercati nel rigetto da parte del conservatorismo cattolico nordamericano della teologia e della visione di chiesa del papa argentino e gesuita. La preoccupazione di Francesco non è evidentemente di difendere se stesso, ma la chiesa. In questo senso, la scelta di non rispondere sull’aereo alle domande sul “memoriale” dell’ex nunzio negli Stati Uniti rivela in Francesco una prudenza e un senso di responsabilità che manca a molti nella chiesa oggi. Tuttavia i fedeli e il consesso umano, in particolare quello in America, si attendono delle risposte a domande che il memoriale Viganò solleva e che si riferiscono a un periodo precedente all’elezione di papa Francesco: tra queste, come sia stato possibile che un prelato di cui molti conoscevano gli appetiti sessuali ai danni di seminaristi e giovani preti, Theodore McCarrick, sia diventato vescovo, poi cardinale di Washington, la capitale degli Stati Uniti, e per decenni una delle figure di riferimento dell’establishment cattolico americano.
Lo scenario americano da cui parte l’operazione Viganò è ideologicamente estremizzato e polarizzato come in nessun altro paese occidentale: vivo in America da dieci anni e posso testimoniare dell’animus conservatore contro papa Francesco. Ma posso anche testimoniare che alla base del risentimento verso il Vaticano di Francesco c’è anche lo shock degli americani per lo scandalo degli abusi sessuali – uno shock non pienamente incompreso in Italia, dove la crisi non è (ancora) scoppiata. Quando mia moglie e io siamo andati al corso di formazione per i genitori dei nuovi alunni della scuola cattolica, vicino a Philadelphia, ci hanno indicato, accanto alla sala riunioni, una sala per quei genitori che non reggevano le immagini e le parole che raccontano di una violenza sui più indifesi, per quei genitori che volevano andare a piangere senza farsi vedere: una specie di muro del pianto.
È opportuno aprire gli occhi su questa crisi, anche in Italia: non è una crisi passeggera, ma una crisi che come dimensioni e conseguenze potrebbe trovare un parallelo nella corruzione della chiesa che portò alla Riforma Protestante, cinque secoli fa. È una crisi istituzionale, con meccanismi di controllo del clericalismo, che non funzionano o non esistono; una crisi morale data la corruzione che pervade i più alti livelli della gerarchia come anche del laicato che in vari casi ha collaborato a coprire gli abusi; una crisi culturale frutto della negazione della realtà in materia di sessualità umana; una crisi politica perché indebolisce la voce della chiesa in un momento in cui gli ultimi della terra possono contare solo su di essa in molte parti del mondo; una crisi affettiva perché ridefinisce radicalmente il posto che l’esperienza di chiesa ha nel corpo di milioni di persone.
Nell’affaire Viganò c’è sicuramente una cospirazione transatlantica in funzione anti-Francesco. Ma negli occhi di coloro che non appartengono alle cerchie degli esperti e dei chierici e che leggono quotidianamente questo nuovo genere letterario che è la cronaca nera clericale, c’è, molto più macroscopica della lotta tra fazioni in Vaticano, la questione vera e propria degli abusi sessuali. È lo scandalo che ha definito queste ultime due decadi di storia della chiesa e potrebbe definire l’intero secolo. È una crisi esistenziale per la chiesa, nel senso che potrebbe determinarne la lenta fine, oppure il declassamento a istituzione-paria, di intoccabili.