Sono da poco stati resi disponibili i dati di una ricerca effettuata dall’Osservatorio Nazionale Adolescenza che ha visto coinvolti 8.000 ragazzi e ragazze provenienti da 18 regioni italiane, di età compresa tra gli 11 e i 19 anni. I cosiddetti “millennials” sono sempre più connessi, sempre più desiderosi di costruire la propria identità e di trascorrere la propria vita “dentro uno schermo”. Il 98% dei ragazzi tra i 14 e i 19 anni possiede uno smartphone personale, che nella maggioranza dei casi è entrato stabilmente a far parte della loro vita intorno ai 10 anni d’età. Il 50% dei giovanissimi afferma di trascorrere dalle 3 alle 6 ore extrascolastiche con lo smartphone in mano, il 16% dalle 7 alle 10 ore. 1 su 10 va oltre le 10 ore quotidiane, praticamente vive più nel virtuale che nel reale.
Questo iper-coinvolgimento nell’online porta ad una serie di comportamenti a rischio sconosciuti alle generazioni passate. E soprattutto sconosciuti ai genitori di questi nativi digitali, che agiscono comportamenti molto pericolosi, senza che gli adulti di riferimento abbiano la minima percezione di ciò che sta succedendo nella loro vita online. Praticamente orfani nel web: così potremmo immaginare molti ragazzi e ragazze che in autonomia esplorano e frequentano territori virtuali in cui non esiste alcun presidio educativo adulto e in cui, a volte, è facile “farsi male”.
La conferma viene da un’altra recentissima ricerca effettuata in Lombardia, in cui si è evidenziato come nell’ultimo anno gli episodi di cyberbullismo tra ragazzi siano aumentati dell’8% e sia in costante crescita anche il preoccupante fenomeno del sexting, sempre tra i minori. La parola “sexting” è la crasi di due termini inglesi: “sex” e “posting” e letteralmente significa inviare attraverso strumenti tecnologici (smartphones, PC, tablet) immagini di sé o di qualcun altro con evidenti connotazioni sessuali. Il sexting è diffuso a tutte le età, ma si rivela particolarmente problematico per i minorenni, che spesso con molta leggerezza e superficialità inviano ad altri (e volte al proprio ragazzo o ragazza, in una sorta di rito che sancisce la dichiarazione d’amore) un’immagine di sé sessualmente esplicita, senza rendersi conto degli effetti indesiderati che tale comportamento può avere.
Una volta inviata la foto, infatti, non si può più tornare indietro e si perde definitivamente il controllo dell’uso che di quella immagine può essere fatto da altri. Quasi tutte le scuole secondarie italiane negli ultimi anni si sono trovate a dover gestire episodi di questo tipo, verificatisi nelle chat e nei gruppi WhatsApp degli studenti e poi magari denunciate ufficialmente alla Polizia Postale da qualche genitore, nel tentativo di difendere e “ricostruire” la reputazione digitale del proprio figlio. La ricerca lombarda – presentata in un convegno da Luca Bernardo, direttore della Casa pediatrica Fatebenefratelli Sacco di Milano, che dal 2008 ospita il Centro multidisciplinare sul disagio giovanile, considerato uno degli Osservatori più attenti d'Italia sui comportamenti a rischio dei minori messi in atto nell’online - fornisce dati preoccupanti: il 25% degli adolescenti ammette di «aver fatto sexting», quasi sempre prima dei 12 anni. Paolo Picchio, il papà di Carolina, una ragazza piemontese di 14 anni che si è uccisa dopo che un suo video sessualmente esplicito era stato diffuso in rete dai compagni di scuola ha affermato: «Armati di uno smartphone gli adolescenti sono capaci di rovinarsi la vita”.
Come adulti dovremmo ragionare in termini preventivi. Perché i nostri figli hanno questa incredibile attrazione verso l’esibizione di sé, tra l’altro un’esibizione spregiudicata e sessualmente esplicita che può poi rivelarsi francamente autolesiva? Penso che ci siano tre motivi fondamentali. La nostra è una società che attribuisce valore all’apparire più che all’essere. “Valgo non per quel che sono, ma per come appaio”: questo è un principio amplificato all’infinito nella nostra società in cui per diventare famosi e popolari non è richiesta alcuna competenza, basta presentarsi in un reality show, stare seduti su un divano e fornire di sé un’esibizione puramente estetica basata sul “non essere niente – se non un’immagine”. Le ragazze in particolare imparano questa lezione che identifica il valore personale con la visibilità della propria immagine e allora nei propri social continuano a postare nuove immagini di sé, a cercare una vetrina in cui il proprio valore viene decretato dallo sguardo dell’altro, da quanti “like” e reazioni emotive l’immagine appena postata riceve nella virtuale arena dei social network.
Il secondo aspetto che, secondo me, spiega il ricorso frequente ai comportamenti di sexting da parte delle ragazze (sono soprattutto loro ad avere immagini molto esplicite che circolano sui cellulari di amici e compagni) è che la cultura di riferimento per le nostre figlie le spinge e a mostrarsi sempre più “sexy e disponibili”, “seduttive ed ammiccanti” nel tentativo di essere apprezzate e valorizzate nel loro contesto relazionale di riferimento. E’ un vero bombardamento di immagini, stimoli e suggestioni che sembra proporre al genere femminile l’imperativo che “la donna del terzo millennio”, quella in controllo della propria vita e della propria carriera, è sessualmente molto disinibita e si propone agli altri con un “carico” di seduttività erotica e sessuale francamente sopra le righe e lontana dal principio di realtà. Questo ha generato una vera e propria emergenza educativa e spinto l’Associazione degli Psicologi Statunitensi a redarre un Report sulla sessualizzazione precoce delle bambine e delle ragazze ricco di suggerimenti educativi finalizzati a contrastare un fenomeno che rischia – come il sexting dimostra – di mettere in pericolo la crescita delle nostre figlie.
Infine, non possiamo non notare che molti di questi comportamenti sono agiti nella totale inconsapevolezza dell’importanza e dei significati associati alla sessualità nel nostro percorso di vita. Generare consapevolezza e significati è possibile solo all’interno di un progetto educativo. Ma l’educazione sessuale nel nostro Paese è un tema così dibattuto e contrastato, un tema così divisivo nel mondo adulto che ad oggi nessuna legge, nessun progetto ufficiale, nessuna attività concreta e formalizzata viene proposta per mandato ministeriale nelle nostre scuole di ogni ordine e grado. Così molto spesso i nostri figli crescono nel silenzio degli adulti e in un deserto educativo, che genera confusione e li spinge verso il territorio del rischio comportamentale. I dati delle ricerche da poco pubblicate contengono un solo vero grande messaggio e spingono in una sola direzione: è prioritario sviluppare e promuovere educazione e prevenzione. Altrimenti è molto probabile che il prossimo anno, una nuova ricerca ci dirà che la situazione si è ulteriormente aggravata.