«Il mondo non ha bisogno di legalismi, ma di cura». Lo ripete più volte papa Francesco nel corso dell’udienza dedicata ai dieci comandamenti. «Abbiamo visto», dice il Papa riferendosi a quanto detto lo scorso mercoledì, «che il Signore Gesù non è venuto ad abolire la Legge ma a dare il compimento. Dovremo capire sempre meglio questa prospettiva. Nella Bibbia i comandamenti non vivono per sé stessi, ma sono parte di una relazione, quella dell’Alleanza[1] fra Dio e il suo Popolo». Il Papa spiega con un esempio dicendo che, se si dice «Oggi è l’ultimo giorno di primavera» si afferma qualcosa, ma non si apre un dialogo, il dialogo si apre soltanto se si chiede «Cosa pensi dell’ultimo giorno di primavera?». Ed è una relazione quella che aprono i dieci comandamenti. Non a caso l’Esodo non chiama mai il decalogo «comandamenti», ma dice «queste parole». «La tradizione ebraica chiamerà sempre il Decalogo “le dieci Parole”. E il termine “decalogo” vuol dire proprio questo. Eppure hanno forma di leggi, sono oggettivamente dei comandamenti. Perché, dunque, l’Autore sacro usa, proprio qui, il termine “dieci parole”, e non “dieci comandamenti”?».
Francesco spiega la differenza tra «un comando e una parola» dicendo che «il comando è una comunicazione che non richiede il dialogo. La parola, invece, è il mezzo essenziale della relazione come dialogo. Dio Padre crea per mezzo della sua parola, e il Figlio suo è la Parola fatta carne. L’amore si nutre di parole, e così l’educazione o la collaborazione. Due persone che non si amano, non riescono a comunicare. Quando qualcuno parla al nostro cuore, la nostra solitudine finisce».
I comandamenti, ripete più volte «sono un dialogo». Non solo, «altro è ricevere un ordine, altro è percepire che qualcuno cerca di parlare con noi». E vuole parlare con noi perché ha cura di noi.
Francesco spiega anche che il diavolo tenta proprio facendo passare la parola di Dio per l’ordine di un despota. Il Tentatore vuole convincere l’uomo e la donna «che Dio ha vietato loro di mangiare il frutto dell’albero del bene e del male per tenerli sottomessi. La sfida è proprio questa: la prima norma che Dio ha dato all’uomo, è l’imposizione di un despota che vieta e costringe, o è la premura di un papà che sta curando i suoi piccoli e li protegge dall’autodistruzione? La più tragica, fra le varie menzogne che il serpente dice a Eva, è la suggestione di una divinità invidiosa e possessiva. I fatti dimostrano drammaticamente che il serpente ha mentito».
L’uomo, ancora oggi è di fronte a questo bivio: «Dio mi impone le cose o si prende cura di me? I suoi comandamenti sono solo una legge o contengono una parola? Dio è padrone o Padre? Siamo sudditi o figli? Questo combattimento, dentro e fuori di noi, si presenta continuamente: mille volte dobbiamo scegliere tra una mentalità da schiavi e una mentalità da figli».
Se abbiamo uno spirito da schiavi possiamo accogliere «la Legge in modo oppressivo» con due opposti risultati: «o una vita fatta di doveri e di obblighi, oppure una reazione violenta di rifiuto». Il cristianesimo, invece, è il passaggio «dalla lettera della Legge allo Spirito che dà la vita. Gesù è la Parola del Padre, non è la condanna del Padre».
E ancora, dice papa Francesco, «si vede quando un uomo o una donna hanno vissuto questo passaggio oppure no. La gente si rende conto se un cristiano ragiona da figlio o da schiavo. E noi stessi ricordiamo se i nostri educatori si sono presi cura di noi come padri e madri, oppure se ci hanno solo imposto delle regole». Infine invita a ricordare sempre che «il mondo non ha bisogno di legalismo, ma di cura. Ha bisogno di cristiani con il cuore di figli».