Alla fine di una lezione in cui si era parlato della paternità di Dio nell’Antico e nel Nuovo Testamento, Sophie si è avvicinata alla cattedra obiettando che l’uso biblico del concetto di “padre” per parlare di Dio è limitativo e pericoloso. «Limitativo» perché Dio è associato alla figura maschile. «Pericoloso» perché, in nome della paternità di Dio, tante persone subiscono un dominio spirituale distruttivo. Ho cercato di ricordare a Sophie che la Bibbia, specie nell’Antico Testamento, è pudica nell’usare l’analogia della paternità per parlare di Dio. Inoltre, le ho ricordato che la Bibbia non assolutizza l’appellativo di “padre”, perché parla di Dio usando anche l’analogia materna, tanto che si può dire che Dio è “padre” e “madre”.
Si può dire come papa Luciani che Dio è un padre che ama con il cuore di una madre… Non a caso, l’amore misericordioso di Dio è espresso in termini di amore viscerale. In ebraico si parla di rahamim, di viscere materne. Ma mentre cercavo di mantenere la discussione a un livello concettuale, pensando che si trattasse di una disquisizione accademica, le risposte e gli interventi mi hanno fatto percepire che la questione di Sophie era su un altro livello: personale ed esistenziale. Il suo problema era con la figura paterna: «Non posso accettare Dio se lo vedo come un padre!». Ed è lì che ho capito che era necessario ascoltare e capire da dove nasceva la domanda per rispondere. Oltre al pudore già accennato nell’usare l’analogia paterna, l’Antico Testamento opera un ribaltamento dell’analogia.
Ovvero, mentre si usa l’analogia paterna e materna per parlare di Dio, si fa il passo per dire che come Dio è padre e madre, nessuno creatura è capace di esserlo. Le creature possono fallire e venire meno anche agli istinti più radicali, ma la fedeltà di Dio non cambia. Un versetto di Isaia spiega molto bene il concetto: «Sion ha detto: “Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato”. Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (49,14-15). È proprio alla luce di questo rovesciamento di paradigma che dobbiamo accogliere l’immagine di Dio come padre e madre. Non sono le esperienze di maternità e paternità a dirci come Dio è padre e madre, ma proprio l’opposto. È Lui che deve modellare tutti i nostri paradigmi di paternità, maternità, amicizia e nuzialità.