Il Papa chiede il distanziamento e spiega che non può scendere e salutare da vicino le persone per via del pericolo del contagio. «Penso che se tutti, come buoni cittadini, compiamo le disposizioni delle autorità», esorta, «questo sarà un aiuto per finire con questa pandemia».
Incentra la catechesi sul dolore e sulle lacrime. Entrando in aula Paolo Vi per l’udienza papa Francesco incontra i genitori di don Roberto Malgesini, il sacerdote ucciso a Como. Ne parla nel corso della catechesi per dire di quanto Dio ci è vicino nelle prove e nel dolore e di come è necessario imparare a pregare. Una palestra straordinaria, per allenarci in questo è il Libro dei Salmi. «Esso fa parte dei libri sapienziali, perché comunica il “saper pregare” attraverso l’esperienza del dialogo con Dio», dice il Pontefice. «Nei salmi troviamo tutti i sentimenti umani: le gioie, i dolori, i dubbi, le speranze, le amarezze che colorano la nostra vita» E leggendolo e rileggendolo «impariamo il linguaggio della preghiera».
I Salmi non sono nati a tavolino «ma invocazioni, spesso drammatiche, che sgorgano dal vivo dell’esistenza. Per pregarli basta essere quello che siamo. In essi sentiamo le voci di oranti in carne e ossa, la cui vita, come quella di tutti, è irta di problemi, di fatiche, di incertezze. Il salmista non contesta in maniera radicale questa sofferenza: sa che essa appartiene al vivere. Nei salmi, però, la sofferenza si trasforma in domanda».
E ce n’è una che rimane sempre sospesa. Il grido di dolore «che attraversa l’intero libro da parte a parte: “Fino a quando?”. Ogni dolore reclama una liberazione, ogni lacrima invoca una consolazione, ogni ferita attende una guarigione, ogni calunnia una sentenza di assoluzione». Con questa domanda senza risposta i salmi «ci insegnano a non assuefarci al dolore, e ci ricordano che la vita non è salvata se non è sanata. L’esistenza dell’uomo è un soffio, la sua vicenda è fugace, ma l’orante sa di essere prezioso agli occhi di Dio, per cui ha senso gridare».
La preghiera «è la testimonianza di questo grido: un grido molteplice, perché nella vita il dolore assume mille forme, e prende il nome di malattia, odio, guerra, persecuzione, sfiducia… Fino allo “scandalo” supremo, quello della morte. La morte appare nel Salterio come la più irragionevole nemica dell’uomo: quale delitto merita una punizione così crudele, che comporta l’annientamento e la fine? L’orante dei salmi chiede a Dio di intervenire laddove tutti gli sforzi umani sono vani. Ecco perché la preghiera, già in sé stessa, è via di salvezza e inizio di salvezza. Tutti soffrono in questo mondo: sia che si creda in Dio, sia che lo si respinga. Ma nel Salterio il dolore diventa relazione: grido di aiuto che attende di intercettare un orecchio che ascolti. Non può rimanere senza senso, senza scopo. Anche i dolori che subiamo non possono essere solo casi specifici di una legge universale: sono sempre le “mie” lacrime, che nessuno ha mai versato prima di me».
Francesco parla del suo incontro con «i genitori di don Roberto, che è stato ucciso nel suo servizio per aiutare. Le lacrime di quei genitori sono le lacrime loro e ognuno di loro sa quanto ha sofferto a vedere questo figlio che ha dato la vita nel servizio dei poveri. Quando noi vogliamo consolare qualcuno non troviamo parole perché? Perché non possiamo arrivare al suo dolore, perché il suo dolore è suo, le lacrime sono sue. Lo stesso con noi le lacrime e il mio dolore è mio, le lacrime sono mie e con queste lacrime e con questo dolore mi rivolgo al Signore. Tutti i dolori degli uomini, per Dio, sono sacri». Cita il salmo 56 : «I passi del mio vagare tu li hai contati, nel tuo otre raccogli le mie lacrime: non sono forse scritte nel tuo libro?». E ricorda che «davanti a Dio non siamo degli sconosciuti, o dei numeri. Siamo volti e cuori, conosciuti ad uno ad uno, per nome.Nei salmi, il credente trova una risposta. Egli sa che, se anche tutte le porte umane fossero sprangate, la porta di Dio è aperta. Se anche tutto il mondo avesse emesso un verdetto di condanna, in Dio c’è salvezza».
Ma sapere che il Signore ascolta non significa pensare che i problemi si risolvono: «Chi prega non è un illuso: sa che tante questioni della vita di quaggiù rimangono insolute, senza via d’uscita; la sofferenza ci accompagnerà e, superata una battaglia, ce ne saranno altre che ci attendono. Però, se siamo ascoltati, tutto diventa più sopportabile».
Perché, dice il Papa,
«la cosa peggiore che può capitare è soffrire nell’abbandono, senza essere ricordati. Da questo ci salva la preghiera. Perché può succedere e anche spesso di non capire i disegni di Dio, ma le nostre grida non ristagnano quaggiù: salgono fino a Lui, al Signore, che ha cuore di Padre, e che piange Lui stesso per ogni figlio e figlia che soffre e che muore.
A me fa bene nei momenti brutti pensare a Gesù piangendo, quando pianse guardando Gerusalemme, quando pianse davanti la tomba di Lazzaro. Dio ha pianto per me, Dio piange per i nostri dolori, Dio ha voluto farsi uomo, diceva uno scrittore spirituale, per poter piangere. Pensare che Gesù piange con me nel dolore è una consolazione, ci aiuta ad andare avanti.
Se rimaniamo nella relazione con Lui, la vita non ci risparmia le sofferenze, ma si apre a un grande orizzonte di bene e si incammina verso il suo compimento. Coraggio, avanti con la preghiera. Gesù è sempre accanto a noi».