Chi viene adottato, spesso, crescendo si interroga sulla propria identità. Sappiamo che da qualche tempo, grazie anche alle convenzioni internazionali e al diritto europeo, si può accedere a una procedura, riservatissima, che consente ad adottati adulti di conoscere l’identità dei propri genitori biologici, nell’ambito del diritto alla conoscescenza delle proprie origini e alla costruzione della propria identità (o anche del diritto alla salute in alcuni casi per esempio patologie ereditarie), salvaguardando, però, il diritto contrario della madre che non abbia riconosciuto il figlio alla nascita di negare il consenso a rivelare l’identità in un secondo momento. Solo un tribunale, infatti, può contattare la madre nella massima riservatezza e verificare la sua decisione di mantenere o meno la segretezza.
Non si era parlato molto invece fin qui di un eventuale diritto analogo a conoscere l’identità dei propri fratelli biologici. Capita infatti, e capitava forse ancor più in passato, che fratelli venissero dati in adozione a famiglie diverse. Di recente ha fatto notizia il caso di fratelli adottati grandicelli in luoghi diversi d’Italia che si sono trovati e ricontattati da grandi autonomamente via facebook: un caso possibile perché quando sono stati separati erano abbastanza grandi da avere ricordi comuni.
Ora però il problema si pone in una sentenza della Cassazione civile depositata pochi giorni fa, in cui un adulto adottato da piccolo, dopo plurimi ricorsi respinti nei tribunali di merito, si è visto riconoscere un diritto analogo nei confronti dei fratelli adottati da altre famiglie. È forse la prima volta che il diritto si esprime così dettagliatamente sul tema della “fratellanza”, come elemento significativo alla costruzione della propria identità.
Si tratta di un diritto non assoluto, sia nel caso dei genitori sia nel caso dei fratelli: è chiaro, e i giudici lo precisano bene, che non si tratta mai di entrare a gamba tesa o di prepotenza nelle vite altrui. Si spiega anzi, che può esistere un diritto contrario delle persone a salvaguardare la costruzione dell’identità costruita a partire dall’adozione e dei nuovi legami, e che questo diritto va bilanciato con quello della persona che chiede di conoscere l’identità dei fratelli. Anche in questo caso la Corte di Cassazione individua una procedura protetta simile a quella prevista per la madre che non ha riconosciuto il figlio: un contatto riservato da parte del tribunale a cui il fratello interpellato può dire sì o no, senza che quell’eventuale no possa essere in alcun modo forzato o aggirato.