Condivido pienamente
la lettera sul diritto alla
pensione, ma a una “età ragionevole”
(FC n. 13/2016).
Anch’io, sessantenne, lavoro
nel pubblico impiego,
sono vedova da circa dieci
mesi e ho un figlio con
handicap gravissimo. Ogni
mattina mi alzo alle cinque
per andare al lavoro, che è a
trenta chilometri di distanza.
Fino alle 8.30 lascio mio figlio nelle mani di una signora,
in attesa del pulmino
che lo porterà al Centro
diurno che lui frequenta.
Non le dico i disagi e i miei
pianti di ogni giorno. Non
è possibile che, per arrivare
alla pensione, io debba
lavorare ancora per altri
sette-otto anni. Basterebbe
che mi abbonassero cinque
anni, come si faceva una
volta con le madri di figli
con handicap. Mio figlio ha
quarant’anni e io cerco di
accudirlo al meglio: tutta
la mia vita è dedicata a lui.
Caro don Antonio, le chiedo
di continuare a scrivere
sulle pensioni, ricordando
noi mamme svantaggiate.
E una preghiera particolare
per il mio Alberto.
E.R.
A una mamma come questa darei, da subito, non una ma due pensioni. Un Paese che non sceglie di stare dalla parte dei più svantaggiati
manca di civiltà. E alimenta quella cultura della sopraffazione, della corruzione e del menefreghismo che sta corrodendo l’anima solidale dell’Italia.