Tre giorni di incontri, dalla sera del 29 alla mattina del 31 dicembre, per prepararsi alla 44ª Marcia nazionale della pace. Così Pax Christi attende il nuovo anno. Il tema scelto, che viene introdotto da monsignor Giovanni Giudici, vescovo di Pavia e presidente dell'organizzazione, ha direttamente a che fare con la città di Brescia che quest'anno ospita sia la marcia che il convegno: «Disarmo vuol dire futuro. Per un’economia di giustizia e di pace». La patria di Paolo VI, infatti, è anche la provincia nella quale si produce il maggior numero di armi nel nostro Paese. La riflessione a tutto campo analizza anche la possibilità di riconversione delle industrie belliche e l'intreccio tra commercio delle armi e investimenti delle banche.
Al termine i partecipanti sono invitati a radunarsi per la Marcia che
comincia con un momento ecumenico presieduto da monsignor Giancarlo
Bregantini, vescovo di Campobasso e presidente della Commissione Cei per
i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace. Il percorso
prevede alcune tappe significative tra le quali la deposizione di fiori
in piazza Loggia in ricordo dei morti della strage del 28 maggio 1974 e
il passaggio al carcere di Canton Mombello. Alle 22.30 la Messa presieduta dal vescovo della città, monsignor Luciano Monari.
Il tema della marcia riprende quello del messaggio per la giornata
mondiale della pace che Benedetto XVI ha voluto dedicare a "Educare i
giovani alla giustizia e alla pace".
La Marcia, promossa, oltre che dalla Cei e da Pax Christi, anche
dalla Caritas italiana e dalla diocesi di Brescia, si conclude con un
momento conviviale nei locali dell'oratorio di Santi Nazaro e Celso,
una delle parrocchie centrali della diocesi. Lo scambio degli auguri è
sotto il segno dell'amicizia e della sobrietà e il ricavato di ciò che
si sarebbe speso per il cenone va in opere di beneficienza.
Annachiara Valle
«Tagli agli armamenti?», è stato chiesto al nuovo ministro della Difesa, l'ammiraglio Giampaolo Di Paola. «Non credo proprio», è stata la sua secca risposta. Infatti nella manovra del Governo Monti di tagli all’apparato militare italiano non c’è traccia, anzi vengono stanziati 700 milioni di euro, per garantire le missioni militari all’estero fino alla fine del 2012 (il primo semestre era stato finanziato nella Legge di stabilità con 700 milioni di euro) quindi escludendo qualsiasi possibile risparmio durante l’anno.
Quello della Difesa, in Italia, è ormai un carrozzone che costa tanti
soldi per avere Forze Armate sempre più vicine ad una “irreversibile
inefficienza” (Arturo Parisi). Lo conferma il Sipri che ci colloca nel
2010 al decimo posto mondiale per spese militari con 37 miliardi di
dollari. C’è da osservare che il Sipri per l’Italia parla di stima,
confermando quello che Sbilanciamoci denuncia da anni, cioè che il
nostro bilancio della Difesa è di difficile lettura, quindi poco
trasparente, principalmente perché spese riconducibili alla difesa sono
allocate in altri Ministeri. E’ il caso dei sistemi d’arma finanziate
dal ministero dello Sviluppo Economico (1.673 milioni di euro) o le
Missioni a carico del Ministero dell’Economia (1.400 milioni di euro). Tutti
soldi per la difesa, infatti, per fare un esempio, il costo di dieci
anni di presenza italiana in Afghanistan ammonta a 4 miliardi e 150
milioni di euro, di questi, solo 168 milioni sono andati agli aiuti veri e propri.
Malgrado le economie imposte dalla grave crisi economica che stiamo
attraversando il prossimo anno il nostro Paese spenderà per la Difesa
oltre 23 miliardi di euro. Oltretutto la Difesa, che poteva
autonomamente decidere dove apportare i tagli ha presentato al
Parlamento un bilancio senza gli effetti delle manovre estive, per
apportare poi i tagli con la nota di variazione, senza spiegarne poi i
dettagli. Non si tocca il personale, le spese per l’esercizio sono
ridotte all’osso e quindi i tagli si fanno sull’investimento, anche se
sembra che si tratti non di cancellazioni di programmi, ma semplicemente
di slittamento dei tempi di consegna. Oltretutto in queste ore in
Parlamento sono arrivate richieste per nuovi sistemi d’arma per 500
milioni di euro e, come denunciamo da tempo, con meccanismi che lasciano
spazio a molti dubbi.
Ci chiediamo, solo per fare un esempio a cosa ci servono 131
cacciabombardieri F-35 al costo base complessivo di 15 miliardi di euro,
quando stiamo ancora pagando profumatamente l’EFA, il cosiddetto caccia
europeo? Nel 2015, al riguardo, sono previsti 4,8 miliardi: è così
che risparmiamo? Poi non ci sono fondi per il carburante ed i pezzi di
ricambio. Quando parliamo dell'F-35, parliamo del Nel 2015, al
riguardo, sono previsti 4,8 miliardi: è così che risparmiamo? Poi non ci
sono fondi per il carburante ed i pezzi di ricambio. Quando parliamo
dell'F-35, parliamo del Joint Strike Fighter, un aereo di quinta generazione prodotto dalla Lockheed aereo di quinta generazione prodotto dalla Lockheed Martin, capace
di trasportare ordigni nucleari, a bassa rilevabilità e con possibilità
di colpire obiettivi in profondità. Chi dobbiamo bombardare? Con
quei 15 miliardi sarebbe possibile mettere in sicurezza 14.000 scuole
dando appalti a centinaia di imprese e creando 30.000 posti di lavoro.
Con il solo costo di 1 caccia, oltre 100 milioni di euro, si potrebbero
aprire 143 asili nido pubblici impiegando 2.150 tra educatrici ed
assistenti.
Quasi 10 miliardi vengono spesi per il personale, per avere una
struttura distorta in cui abbiamo più comandanti (quasi 95.000 graduati)
che comandati (85.000 truppa), con un numero spropositato di Generali
(543) ed un numero doppio di marescialli rispetto alle esigenze delle
Forze Armate. Poi si hanno difficoltà a superare la soglia di 7-8.000 uomini per le missioni all’estero. Non parliamo poi degli sprechi
come i 500 mila euro per la festa del 4 novembre al Circo
Massimo, le 19 Maserati blindate appena arrivate per i vertici delle
Forze Armate o i 2,3 milioni di euro per la pulizia e la cura di 9
appartamenti dei vertici dell’Aeronautica.
Con la Legge di Stabilità, infine, si fa morire il Servizio civile
nazionale, al quale restano per il 2012, dopo un taglio del 40% solo 68
milioni di euro che basteranno a malapena a far svolgere servizio civile
ai 20.000 giovani del bando di quest’anno. Contestualmente si stabilizza
la Mini Naja che ci è costata fino ad ora 20 milioni di euro. Una
recente ricerca dell’Università del Massachusetts ha calcolato che: se
investiamo un miliardo di dollari nella difesa abbiamo 11.000 nuovi
posti di lavoro; ma i nuovi posti diventano 17.000 se lo stesso
miliardo viene impegnato nelle energie rinnovabili e gli occupati
salgono a 29.000 unità se la stessa identica cifra fosse spesa nel
settore dell’educazione. Per questo “approfittando” della crisi
dobbiamo rivedere il nostro Modello di difesa in conformità con la
nostra Costituzione (articolo 11) e la nostra politica estera.
Massimo Paolicelli, Rete italiana per il disarmo e Sbilanciamoci
In occasione della Giornata mondiale della pace il Papa lancia un chiaro appello a tutti: se vogliamo costruire un futuro di giustizia e di pace dobbiamo aprirci ai giovani, saperli ascoltare e valorizzare. E poi precisa: «Non è solamente un’opportunità, ma un dovere primario di tutta la società». Le sue parole sembrano riecheggiare quelle del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che solo un anno fa, nel messaggio di capodanno, aveva sollecitato tutti a «investire sui giovani, scommettere sui giovani, chiamarli a fare la propria parte e dare loro adeguate opportunità».
Vista la scarsa considerazione di cui godono i giovani nel nostro Paese, si tratta di un vero e proprio monito a cambiare strada. Alla fine di un anno, il 2011, che ha visto l’irrompere sulla scena internazionale di centinaia di migliaia di giovani decisi a ottenere il rispetto dei loro fondamentali diritti, il Papa coglie sino in fondo il valore di questi sommovimenti e sollecita «la dovuta attenzione in tutte le componenti della società». I giovani sono la metà della popolazione mondiale, quasi tre miliardi e mezzo di persone, e le loro speranze, ambizioni e volontà di migliorare la propria vita rappresentano una straordinaria forza di cambiamento: «il loro entusiasmo e la loro spinta ideale possono offrire una nuova speranza al mondo».
Benedetto XVI ribadisce l’atteggiamento della Chiesa che «guarda ai
giovani con speranza, ha fiducia in loro e li incoraggia a ricercare la
verità, a difendere il bene comune, ad avere prospettive aperte sul
mondo e occhi capaci di vedere cose nuove». Ma poi si rivolge a tutti:
genitori, famiglie, educatori, responsabili nei vari ambiti della vita
religiosa, sociale, politica, economica, culturale e della
comunicazione. E lancia un secondo chiaro appello: “Uniamo le nostre
forze, spirituali, morali e materiali per educare i giovani alla
giustizia e alla pace”.
Il messaggio è chiaro: 1. i giovani devono diventare operatori di
giustizia e di pace, 2. per questo è indispensabile investire sulla loro
educazione e formazione, 3. per essere operatori di giustizia e di
pace dobbiamo “educarci alla compassione, alla solidarietà, alla
collaborazione, alla fraternità, essere attivi all’interno della
comunità e vigili nel destare le coscienze sulle questioni nazionali ed
internazionali e sull’importanza di ricercare adeguate modalità di
redistribuzione della ricchezza, di promozione della crescita, di
cooperazione allo sviluppo e di risoluzione dei conflitti”, 4.
l’educazione necessita di “autentici testimoni e non di meri
dispensatori di regole e di informazioni”; testimoni coerenti che vivono
per primi il cammino che propongono, 5. educare è una responsabilità di
tutti e nessuno può eludere questo impegno essenziale: famiglie,
scuola, università, mass media, associazionismo, enti e istituzioni, 6.
anche “i giovani sono responsabili della propria educazione e formazione
alla giustizia e alla pace” e dunque non devono essere considerati
soggetti passivi ma co-protagonisti, 7. educare è bello ma difficile,
specialmente di questi tempi e dunque è necessario sviluppare una nuova
"alleanza pedagogica" di tutti i soggetti responsabili, 8. ogni
ambiente educativo deve essere “luogo di dialogo, di coesione e di
ascolto, di valorizzazione dei giovani, di apertura agli altri, di
solidarietà e partecipazione attiva”, 9. i responsabili della
politica debbono sostenere concretamente le famiglie e le istituzioni
educative e devono “offrire ai giovani un’immagine limpida della
politica, come vero servizio per il bene di tutti, 10. i mezzi di
comunicazione di massa hanno una grande responsabilità nella formazione
dei giovani e quindi sono tenuti a fare la loro parte.
L’appello del Papa non deve cadere nel vuoto né restare nelle mani di
qualche addetto ai lavori più sensibile. La celebrazione il 1 gennaio
2012 della Giornata mondiale della pace deve essere l’occasione per
riflettere ma poi deve venire il tempo della progettazione e
dell’attuazione. Un tempo che riguarda tutti, vale la pena di
ripeterlo, secondo le proprie competenze e responsabilità. Non partiamo
da zero. Nel nostro paese, nelle nostre città, scuole e università ci
sono tante belle esperienze di cui far tesoro, esperienze e buone
pratiche generosamente e tenacemente alimentate da tanti insegnanti,
docenti, dirigenti scolastici e operatori sociali. Nel corso di questo
nuovo anno dobbiamo valorizzarle, apprezzarle e svilupparle superando le
vecchie e anacronistiche separatezze che portano ciascuno a coltivare
solo ed esclusivamente il proprio campo. Il confronto e l’intreccio tra
le diverse esperienze, competenze e responsabilità non contribuirà solo
ad aumentare la qualità e l’efficacia dell’azione educativa ma anche a
estenderne gli effetti nel tempo e nello spazio. Grande spazio dovrà
essere dedicato tanto alla formazione e all’aggiornamento degli
educatori e dei formatori che allo sviluppo di tutte le indispensabili
sinergie tra l’impresa educativa, le comunità locali, l’iniziativa
politica e quella informativa.
Con un’attenzione e una cura particolare: la progettazione non deve
essere una fatta “per i giovani” ma “con i giovani”, deve essere una
progettualità di cui i giovani si sentano e siano a tutti gli effetti
protagonisti. A loro spetta il compito di traghettare la nostra
società fuori dalla crisi di valori e di futuro che le caratterizza. A
noi la responsabilità di non impedirglielo.
Flavio Lotti, Coordinatore nazionale della Tavola della pace
Aluisi Tosolini, Programma Nazionale “La mia scuola per la pace”