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martedì 20 maggio 2025
 
 

Pace, il futuro è nel disarmo

29/12/2011  A Brescia un convegno su una nuova economia di giustizia e la Marcia nazionale della pace. Nessun taglio, però, alle spese militari. E il Papa, nel Messaggio: "Cari giovani...".

Tre giorni di incontri, dalla sera del 29 alla mattina del 31 dicembre, per prepararsi alla 44ª Marcia nazionale della pace. Così Pax Christi attende il nuovo anno. Il tema scelto, che viene introdotto da monsignor Giovanni Giudici, vescovo di Pavia e presidente dell'organizzazione, ha direttamente a che fare con la città di Brescia che quest'anno ospita sia la marcia che il convegno: «Disarmo vuol dire futuro. Per un’economia di giustizia e di pace». La patria di Paolo VI, infatti, è anche la provincia nella quale si produce il maggior numero di armi nel nostro Paese. La riflessione a tutto campo analizza anche la possibilità di riconversione delle industrie belliche e l'intreccio tra commercio delle armi e investimenti delle banche.



Al termine i partecipanti sono invitati a radunarsi per la Marcia che comincia con un momento ecumenico presieduto da monsignor Giancarlo Bregantini, vescovo di Campobasso e presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace. Il percorso prevede alcune tappe significative tra le quali la deposizione di fiori in piazza Loggia in ricordo dei morti della strage del 28 maggio 1974 e il passaggio al carcere di Canton Mombello. Alle 22.30 la Messa presieduta dal vescovo della città, monsignor Luciano Monari. Il tema della marcia riprende quello del messaggio per la giornata mondiale della pace che Benedetto XVI ha voluto dedicare a "Educare i giovani alla giustizia e alla pace".

La Marcia, promossa, oltre che dalla Cei e da Pax Christi, anche dalla Caritas italiana e dalla diocesi di Brescia, si conclude con un momento conviviale nei locali dell'oratorio di Santi Nazaro e Celso, una delle parrocchie centrali della diocesi. Lo scambio degli auguri è sotto il segno dell'amicizia e della sobrietà e il ricavato di ciò che si sarebbe speso per il cenone va in opere di beneficienza.

Annachiara Valle

«Tagli agli armamenti?», è stato chiesto al nuovo ministro della Difesa, l'ammiraglio Giampaolo Di Paola. «Non credo proprio», è stata la sua secca risposta. Infatti nella manovra del Governo Monti di tagli all’apparato militare italiano non c’è traccia, anzi vengono stanziati 700 milioni di euro, per garantire le missioni militari all’estero fino alla fine del 2012 (il primo semestre era stato finanziato nella Legge di stabilità con 700 milioni di euro) quindi escludendo qualsiasi possibile risparmio durante l’anno.


Quello della Difesa, in Italia, è ormai un carrozzone che costa tanti soldi per avere Forze Armate sempre più vicine ad una “irreversibile inefficienza” (Arturo Parisi). Lo conferma il Sipri che ci colloca nel 2010 al decimo posto mondiale per spese militari con 37 miliardi di dollari. C’è da osservare che il Sipri per l’Italia parla di stima, confermando quello che Sbilanciamoci denuncia da anni, cioè che il nostro bilancio della Difesa è di difficile lettura, quindi poco trasparente, principalmente perché spese riconducibili alla difesa sono allocate in altri Ministeri. E’ il caso dei sistemi d’arma finanziate dal ministero dello Sviluppo Economico (1.673 milioni di euro) o le Missioni a carico del Ministero dell’Economia (1.400 milioni di euro). Tutti soldi per la difesa, infatti, per fare un esempio, il costo di dieci anni di presenza italiana in Afghanistan ammonta a 4 miliardi e 150 milioni di euro, di questi, solo 168 milioni sono andati agli aiuti veri e propri.

Malgrado le economie imposte dalla grave crisi economica che stiamo attraversando il prossimo anno il nostro Paese spenderà per la Difesa oltre 23 miliardi di euro. Oltretutto la Difesa, che poteva autonomamente decidere dove apportare i tagli ha presentato al Parlamento un bilancio senza gli effetti delle manovre estive, per apportare poi i tagli con la nota di variazione, senza spiegarne poi i dettagli. Non si tocca il personale, le spese per l’esercizio sono ridotte all’osso e quindi i tagli si fanno sull’investimento, anche se sembra che si tratti non di cancellazioni di programmi, ma semplicemente di slittamento dei tempi di consegna. Oltretutto in queste ore in Parlamento sono arrivate richieste per nuovi sistemi d’arma per 500 milioni di euro e, come denunciamo da tempo, con meccanismi che lasciano spazio a molti dubbi.

Ci chiediamo, solo per fare un esempio a cosa ci servono 131 cacciabombardieri F-35 al costo base complessivo di 15 miliardi di euro, quando stiamo ancora pagando profumatamente l’EFA, il cosiddetto caccia europeo? Nel 2015, al riguardo, sono previsti 4,8 miliardi: è così che risparmiamo? Poi non ci sono fondi per il carburante ed i pezzi di ricambio. Quando parliamo dell'F-35, parliamo del Nel 2015, al riguardo, sono previsti 4,8 miliardi: è così che risparmiamo? Poi non ci sono fondi per il carburante ed i pezzi di ricambio. Quando parliamo dell'F-35, parliamo del Joint Strike Fighter, un aereo di quinta generazione prodotto dalla Lockheed aereo di quinta generazione prodotto dalla Lockheed Martin, capace di trasportare ordigni nucleari, a bassa rilevabilità e con possibilità di colpire obiettivi in profondità. Chi dobbiamo bombardare? Con quei 15 miliardi sarebbe possibile mettere in sicurezza 14.000 scuole dando appalti a centinaia di imprese e creando 30.000 posti di lavoro. Con il solo costo di 1 caccia, oltre 100 milioni di euro, si potrebbero aprire 143 asili nido pubblici impiegando 2.150 tra educatrici ed assistenti.

Quasi 10 miliardi vengono spesi per il personale, per avere una struttura distorta in cui abbiamo più comandanti (quasi 95.000 graduati) che comandati (85.000 truppa), con un numero spropositato di Generali (543) ed un numero doppio di marescialli rispetto alle esigenze delle Forze Armate. Poi si hanno difficoltà a superare la soglia di 7-8.000 uomini per le missioni all’estero. Non parliamo poi degli sprechi come i 500 mila euro per la festa del 4 novembre al Circo Massimo, le 19 Maserati blindate appena arrivate per i vertici delle Forze Armate o i 2,3 milioni di euro per la pulizia e la cura di 9 appartamenti dei vertici dell’Aeronautica.


Con la Legge di Stabilità, infine,  si fa morire il Servizio civile nazionale, al quale restano per il 2012, dopo un taglio del 40% solo 68 milioni di euro che basteranno a malapena a far svolgere servizio civile ai 20.000 giovani del bando di quest’anno. Contestualmente si stabilizza la Mini Naja che ci è costata fino ad ora 20 milioni di euro. Una recente ricerca dell’Università del Massachusetts ha calcolato che: se investiamo un miliardo di dollari nella difesa abbiamo 11.000 nuovi posti di lavoro; ma i nuovi posti diventano 17.000 se lo stesso miliardo viene impegnato nelle energie rinnovabili e gli occupati salgono a 29.000 unità se la stessa identica cifra fosse spesa nel settore dell’educazione. Per questo “approfittando” della crisi dobbiamo rivedere il nostro Modello di difesa in conformità con la nostra Costituzione (articolo 11) e la nostra politica estera.

Massimo Paolicelli, Rete italiana per il disarmo e Sbilanciamoci

In occasione della Giornata mondiale della pace il Papa lancia un chiaro appello a tutti: se vogliamo costruire un futuro di giustizia e di pace dobbiamo aprirci ai giovani, saperli ascoltare e valorizzare. E poi precisa: «Non è solamente un’opportunità, ma un dovere primario di tutta la società». Le sue parole sembrano riecheggiare quelle del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che solo un anno fa, nel messaggio di capodanno, aveva sollecitato tutti a «investire sui giovani, scommettere sui giovani, chiamarli a fare la propria parte e dare loro adeguate opportunità».

Vista la scarsa considerazione di cui godono i giovani nel nostro Paese, si tratta di un vero e proprio monito a cambiare strada.   Alla fine di un anno, il 2011, che ha visto l’irrompere sulla scena internazionale di centinaia di migliaia di giovani decisi a ottenere il rispetto dei loro fondamentali diritti, il Papa coglie sino in fondo il valore di questi sommovimenti e sollecita «la dovuta attenzione in tutte le componenti della società».  I giovani sono la metà della popolazione mondiale, quasi tre miliardi e mezzo di persone, e le loro speranze, ambizioni e volontà di migliorare la propria vita rappresentano una straordinaria forza di cambiamento: «il loro entusiasmo e la loro spinta ideale possono offrire una nuova speranza al mondo». 


Benedetto XVI ribadisce l’atteggiamento della Chiesa che «guarda ai giovani con speranza, ha fiducia in loro e li incoraggia a ricercare la verità, a difendere il bene comune, ad avere prospettive aperte sul mondo e occhi capaci di vedere cose nuove». Ma poi si rivolge a tutti: genitori, famiglie, educatori, responsabili nei vari ambiti della vita religiosa, sociale, politica, economica, culturale e della comunicazione. E lancia un secondo chiaro appello: “Uniamo le nostre forze, spirituali, morali e materiali per educare i giovani alla giustizia e alla pace”.  

Il messaggio è chiaro: 1. i giovani devono diventare operatori di giustizia e di pace, 2. per questo è indispensabile investire sulla loro educazione e formazione, 3. per essere operatori di giustizia e di pace dobbiamo “educarci alla compassione, alla solidarietà, alla collaborazione, alla fraternità, essere attivi all’interno della comunità e vigili nel destare le coscienze sulle questioni nazionali ed internazionali e sull’importanza di ricercare adeguate modalità di redistribuzione della ricchezza, di promozione della crescita, di cooperazione allo sviluppo e di risoluzione dei conflitti”, 4. l’educazione necessita di “autentici testimoni e non di meri dispensatori di regole e di informazioni”; testimoni coerenti che vivono per primi il cammino che propongono, 5. educare è una responsabilità di tutti e nessuno può eludere questo impegno essenziale: famiglie, scuola, università, mass media, associazionismo, enti e istituzioni, 6. anche “i giovani sono responsabili della propria educazione e formazione alla giustizia e alla pace” e dunque non devono essere considerati soggetti passivi ma co-protagonisti, 7. educare è bello ma difficile, specialmente di questi tempi e dunque è necessario sviluppare una nuova "alleanza pedagogica" di tutti i soggetti responsabili, 8. ogni ambiente educativo deve essere “luogo di dialogo, di coesione e di ascolto, di valorizzazione dei giovani, di apertura agli altri, di solidarietà e partecipazione attiva”, 9. i responsabili della politica debbono sostenere concretamente le famiglie e le istituzioni educative e devono “offrire ai giovani un’immagine limpida della politica, come vero servizio per il bene di tutti, 10. i mezzi di comunicazione di massa hanno una grande responsabilità nella formazione dei giovani e quindi sono tenuti a fare la loro parte.  

L’appello del Papa non deve cadere nel vuoto né restare nelle mani di qualche addetto ai lavori più sensibile. La celebrazione il 1 gennaio 2012 della Giornata mondiale della pace deve essere l’occasione per riflettere ma poi deve venire il tempo della progettazione e dell’attuazione. Un tempo che riguarda tutti, vale la pena di ripeterlo, secondo le proprie competenze e responsabilità. Non partiamo da zero. Nel nostro paese, nelle nostre città, scuole e università ci sono tante belle esperienze di cui far tesoro, esperienze e buone pratiche generosamente e tenacemente alimentate da tanti insegnanti, docenti, dirigenti scolastici e operatori sociali. Nel corso di questo nuovo anno dobbiamo valorizzarle, apprezzarle e svilupparle superando le vecchie e anacronistiche separatezze che portano ciascuno a coltivare solo ed esclusivamente il proprio campo. Il confronto e l’intreccio tra le diverse esperienze, competenze e responsabilità non contribuirà solo ad aumentare la qualità e l’efficacia dell’azione educativa ma anche a estenderne gli effetti nel tempo e nello spazio. Grande spazio dovrà essere dedicato tanto alla formazione e all’aggiornamento degli educatori e dei formatori che allo sviluppo di tutte le indispensabili sinergie tra l’impresa educativa, le comunità locali, l’iniziativa politica e quella informativa.

Con un’attenzione e una cura particolare: la progettazione non deve essere una fatta “per i giovani” ma “con i giovani”, deve essere una progettualità di cui i giovani si sentano e siano a tutti gli effetti protagonisti. A loro spetta il compito di traghettare la nostra società fuori dalla crisi di valori e di futuro che le caratterizza. A noi la responsabilità di non impedirglielo. 

Flavio Lotti, Coordinatore nazionale della Tavola della pace
Aluisi Tosolini, Programma Nazionale “La mia scuola per la pace”

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