(Foto Ansa)
Scavare nei meandri della nostra preistoria, indagare i resti del passato remoto per capire da dove veniamo e chi siamo. L'archeologia era la sua passione, così come lo era il mare. Due passioni che lui, palermitano, aveva conciliato diventando un esperto e un docente di Archeologia subacquea, alla ricerca di mondi sommersi. Specializzato in Paletnologia, aveva organizzato missioni archeologiche in Italia e in vari Paesi. Ma sempre con lo sguardo rivolto alla Sicilia, alle sue isole, al Mediterraneo. Sebastiano Tusa, 66 anni, era un archeologo di fama mondiale. Nel 2004 era stato scelto come guida della Soprintendenza del Mare della Regione Sicilia. Nel 2018 era diventato assessore regionale ai Beni culturali, in sostituzione di Vittorio Sgarbi. Il 10 marzo era partito da Addis Abeba a bordo del Boeing 737 Max 8 dell'Ethiopian airlines per raggiungere Nairobi e, dalì, Malindi, per partecipare a una conferenza dell'Unesco. Tusa è uno degli otto italiani rimasti uccisi nello schianto dell'aereo, precipitato solo sei minuti dopo il decollo.
Uno studioso colto, preparato, la cui autorevolezza era riconosciuta a livello internazionale. Una delle eccellenze culturali e professionali di cui il nostro Paese andava orgoglioso. Fra i tanti ricordi che oggi gli vengono tributati c'è quello di Donatella Bianchi, presidente del Wwf, associazione della quale lui era grande amico. "E' stato un eroe del nostro tempo, un appassionato studioso e custode dei tesori antichi che resterà uno dei più grandi protagonisti della cultura italiana”, ha scritto la Bianchi. "Grazie alla sua opera, la Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana, è diventata un modello esemplare di gestione del patrimonio archeologico sommerso e non nello scenario internazionale, rendendo popolare l’archeologia terrestre e subacquea, con sguardo innovativo e studio attento e appassionato della storia antica Mediterranea in tutte le sue sfaccettature". E continua: "È stato un esploratore delle profondità del Mare nostrum, attento conoscitore della sua terra".
A bordo di quell'aereo partito da Addis Abeba volavano i volti dell'Italia migliore, l'Italia dell'impegno culturale e solidale, l'Italia aperta, libera, generosa, attenta e sensibile ai mali e ai problemi del mondo, di chi sta peggio di noi. L'Italia dei coooperanti e dei volontari del non profit, quelli che spendono la loro vita e mettono a frutto le loro competenze per portare assistenza ai Paesi più poveri e contribuire alla promozione dello sviluppo delle popolazioni locali. Persone come Paolo Dieci, volto noto del mondo della cooperazione, presidente della ong Cisp (Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli), e di rete LinK 2007, un'associazione che raggruppa numerose organizzazioni non governative italiane, fra le quali Cesvi, Cisp, Intersos, Lvia, Medici con l'Africa Cuamm, Amref. La destinazione ultima del viaggio di Paolo Dieci era la Somalia. "Il suo esempio e la strada che ha indicato nella sua azione e nel suo modo di porsi quotidiani può aiutarci a superarlo", è il messaggio commosso della rete LinK 2007. "Dialogo con tutti, studio e conoscenza dei contesti e dei problemi, approfondimento e ricerca di soluzioni condivise, presenza e impegno nei progetti di sviluppo, a formare, sostenere, guidare, comunicare valori e visioni, capacità di costruire partenariati con comunità e istituzioni, amore per i più deboli ed esclusi. Considerava la formazione indispensabile per affrontare i temi dello sviluppo".
L'amore per l'Africa e il desiderio di promuovere progetti sul campo univa Carlo Spini, medico in pensione originario di Sansepolcro, sua moglie Gabriella Viciani, infermiera, e Matteo Ravasio, commercialista bergamasco. Tutti e tre erano impegnati nella Ong "Africa tremila", fondata a Bergamo nel 1995 e di cui Spini era presidente e sua moglie Gabriella infaticabile volontaria. Ravasio prestava le sue competenze come tesoriere. Il dottor Spini aveva una lunga esperienza in Africa: lui e sua moglie avevano viaggiato e seguito progetti in vari Paesi del continente, dal Malawi all'Eritrea, ma anche in altri continenti, in India e Cuba, sviluppando progetti di sostegno in modo particolare in campo medico-sanitario. Il 21 marzo, ha raccontato a Bergamonews la vicepresidente Gisella Inverardi, Carlo Spini, Gabriella Viciani e Matteo Ravasio avrebbero dovuto inugurare una nuova struttura in Sud Sudan, nella capitale Giuba: un piccolo ospedale con reparto maternità.
Erano cittadine del mondo brillanti e competenti, le tre ragazze che viaggiavano verso Nairobi per partecipare alla conferenza delle Nazioni unite su clima e ambiente. Virginia Chimenti, 26 anni, di Roma, Maria Pilar Buzzetti, trentenne anche lei romana, e Rosemary Mumbi, zambiana con passaporto italiano, lavoravano con differenti ruoli per il World food program, il Programma alimentare mondiale dell'Onu, che ha sede a Roma. Conoscenza perfetta di inglese, francese e spagnolo, laurea economico-commerciale alla Bocconi di Milano e un master in Studi orientali a Londra per Virginia Chimenti. Poi l'esperienza in altre due agenzie delle Nazioni unite, prima di entrare nel 2017 all'Wfp come funzionaria consulente per i budget dei servizi logistici. Un curriculum strabiliante, per una ragazza così giovane.
Maria Pilar Buzzetti si era specializzata alla Luiss in Relazioni internazionali con 110 e lode. Poi un master per avviarsi alla carriera diplomatica. Da quattro anni lavorava al Wfp, ma in precedenza aveva svolto altre esperienze internazionali, operando anche come volontaria per Medici senza frontiere. Ragazze toste, in gamba, preparate, determinate, ricche di ideali e di passioni. Esempli splendidi di quella nuova generazione per la quale casa è il pianeta intero. Ecco, a bordo di quell'aereo carico di cooperanti di tante nazionalità, volava la meglio gioventù, dell'Italia e del mondo.