Avanza un pezzo della riforma del divorzio, quella "senza giudice" (o quasi). Potrebbe diventare legge già domani. Se ne occupa una parte del decreto legge - passato ieri sera con la fiducia alla Camera-: una riformina incastrata dentro la riformona del processo civile, definita con una parola orrenda “degiurisdizionalizzazione”. E' la parte che i media hanno definito con sintesi brutale "divorzio facile". Su un altro canale istituzionale, quello del disegno di legge, marcia molto più lentamente un altro pezzo di riforma sullo stesso tema, che il linguaggio corrente chiama "divorzio breve".
S'era tentato qualche tempo fa in commissione giustizia, con un emendamento, di riunire il tutto sotto i tempi rapidi del decreto, ma poi c’è stato un altolà del Governo e non se ne è fatto nulla. Il risultato è che il divorzio, materia delicatissima, continua a procedere per frammenti, a pezzi e bocconi, a due velocità, anziché nella cornice di una riforma organica, probabilmente necessaria per aggiornare norme datate.
E non è difficile immaginare il pericolo che, alla fine possa sortirne una riforma strabica, disorganica, a rischio di perdere di vista qualche pezzo, e che a pagarne le conseguenze siano come sempre le parti più deboli, in causa e nella società.
Qualche assaggio si è già avuto: è confermata nel decreto, passato con la fiducia alla Camera, la possibilità di accedere al divorzio, tramite una negoziazione tra i coniugi, assistiti da avvocati, senza passaggio in Tribunale, anche nel caso in cui ci siano figli minori o disabili non autosufficienti. Ipotesi inizialmente esclusa. In questo caso però, in seconda battuta, un Pubblico ministero dovrà sempre verificare che i diritti dei figli minori o disabili siano stati salvaguardati nell’accordo tra i genitori. Qualcosa in più rispetto alla negoziazione nuda e cruda, qualcosa meno di una causa civile ordinaria com’è stato fin qui.
Se quello di oggi resterà l’esito finale, la garanzia dei diritti dei figli minori o disabili, potrebbe uscirne compressa in una procedura veloce, per di più scaricata sulle Procure della Repubblica: il pubblico ministero incaricato avrebbe tempo solo cinque giorni per valutare che i diritti dei figli siano garantiti e, in caso di parere negativo, per rivolgersi al giudice. Siamo sicuri che con il carico di lavoro che le Procure della Repubblica già hanno, una media di 600 fascicoli per Pm, siano in grado di farsi carico anche di questo e di tutelare, materialmente in tempi così rapidi, i figli come richiesto, al di là della buona volontà? O stiamo comprimendo i diritti della parte che nel divorzio è sempre la più debole?