Paesaggi lunari, luoghi ai confini dell’universo: la Magliana è un’isola in mezzo al nulla in Dogman di Matteo Garrone. Le case cadono a pezzi, la polvere è ovunque, e un piccolo parco giochi abbandonato troneggia al centro della piazza. Immagini post apocalittiche, che richiamano la solitudine dell’umanità sulla Terra.
Il debole è massacrato da chi è senza scrupoli, vale la legge del più forte. Le vittime sono destinate a soccombere, ma anche gli indifesi si possono ribellare. In ognuno di noi alberga una bestia, suggerisce il regista, che può scatenarsi da un momento all’altro. I cani rappresentano la dimensione animale della nostra società, che possiamo vedere e toccare. Alcune volte ringhiano, come nella prima inquadratura, altre sono mansueti e si lasciano accarezzare, in un momento di tenerezza. Le leggi della natura, facilmente comprensibili, si scontrano con l’inconscio, con l’anima nera che si nasconde oltre la percezione. Anche l’uomo semplice può scatenarsi, rivelare tutta la sua ferocia dopo le continue vessazioni.
Marcello è ingenuo, mite, e ha una corporatura esile. Per vivere fa la toeletta ai cani, e mette da parte i soldi nella speranza di regalare a sua figlia una vacanza da sogno. Il bullo del quartiere lo sfrutta, lo minaccia, gli rovina la vita. A quel punto la bontà di Marcello sparisce: esplode una violenza incontrollabile, che lo spinge verso il baratro. Sfigurato dalla sete di vendetta, si trasforma nell’ombra di se stesso, in un affresco potente che conferma Garrone come uno dei più grandi narratori del nostro tempo.
Sembra di guardare un quadro di Caravaggio, dove la luce si fonde con l’oscurità e c’è una grande attenzione per il colore. Garrone è un regista col pennello, che dipinge le contraddizioni dell’esistenza: il bene che lotta contro il male, la superficialità e la forza delle passioni. I suoi personaggi subiscono sempre un’involuzione e, invece di migliorare, si perdono nelle loro ossessioni. In Reality era la televisione a stregare l’innocente, con le sue false promesse di ricchezza e successo. Era una parabola autodistruttiva, il naturale proseguimento della gioventù allo sbando di Gomorra, accecata dal potere. Fin da L’imbalsamatore non esiste redenzione nel suo cinema, anche l’amore è un sentimento malato, che si fonda sulla sottomissione del partner (Primo amore). Le colpe si lavano col sangue, e nessuno riesce a sottrarsi dall’abisso.
Per Dogman il regista si è ispirato alla cronaca nera, alla vicenda del Canaro della Magliana, che nel 1988 torturò per ore un ex pugile dilettante prima di ucciderlo. Ma a Garrone non interessa mettere in scena le sevizie: riscrive la storia puntando sulla violenza psicologica, sui contrasti dell’anima, in un western suburbano lontanissimo da Roma. La capitale si vede solo una volta, durante una rapina, ma resta irriconoscibile. Intanto, in un angolo sperduto del mondo, l’agnello si rivolta contro il leone, rivelandosi il predatore più cattivo sul pianeta.