«Le migliori cure possibili al maggior numero di persone e al minor costo». Sono passati più di 55 anni da quando Piero Corti e Lucille Teasdale presero le redini del Saint Mary's hospital Lacor, nel nord dell’Uganda, ma il motto dell’ospedale è rimasto lo stesso. «Pur operando in un Paese poverissimo i miei genitori non hanno mai accettato di offrire prestazioni al ribasso. Quando arrivarono l’ospedale era un piccolo dispensario gestito dai missionari comboniani: in un’epoca in cui la tentazione era utilizzare ogni singolo dollaro in antibiotici – tanto era il bisogno di cure – capirono che era necessario investire anche in organizzazione e amministrazione: un’intuizione che ha permesso al Lacor hospital di diventare uno dei maggiori ospedali non a scopo di lucro dell’Africa equatoriale».
A raccontare la meravigliosa impresa dei due dottori che nel 1961 partirono per la missione, è la figlia Dominique Corti, 55 anni, anch’essa medico, che oggi porta avanti l’impegno dei genitori attraverso la Fondazione a loro dedicata.
Secondo lo Human development Index 2016 l’Uganda è uno dei Paesi più poveri al mondo (163/187). Ogni anno il Lacor hospital cura più di 250 mila pazienti, di questi l’80% sono bambini e donne. «Alle “malattie della povertà” come malnutrizione, dissenteria e malaria, oggi si affiancano nuove patologie legate all’aumento dell’aspettativa di vita, come diabete e ipertensione», prosegue Corti. Il Lacor hospital conta 600 dipendenti ugandesi, inclusa la direzione, e al 70 per cento è sostenuto da donazioni estere. «Chi non può pagare viene curato gratuitamente; per chi, invece, può contribuire, le tariffe non superano il 30% del costo reale della prestazione», dice ancora Corti, che presiede la Fondazione.
Anche fra i 1995 e il 2006, durante la guerra civile, il Lacor hospital è sempre stato un punto di riferimento sociale e sanitario. «In quegli anni accoglievamo ogni sera fino a 10.000 “pendolari della notte”: donne e bambini in fuga dai ribelli», ricorda Corti. Nel Duemila poi, la tragedia di ebola. «Matthew Lukwiya, direttore sanitario e uomo sempre sorridente, brillantissimo umanamente e professionalmente, fu il primo a capire di cosa si trattasse e convinse 100 dipendenti ad accudire i pazienti: “Siamo un ospedale cristiano e il nostro mandato è la carità”, diceva. Lui stesso, come 12 altri membri dell’équipe, morì contagiato dal virus dopo aver curato moltissimi malati».
A disposizione dei pazienti fino alla morte, fu anche Lucille, deceduta nel 1996 per aver contratto l’Aids. «Mia madre affrontò il virus con una forza incredibile, diceva che per lei era una malattia professionale! Era animata da una grande passione e aveva una dedizione totale per il paziente. Come del resto papà, che proveniva da una famiglia molto religiosa», ricorda ancora Dominique.
«Sono nata e cresciuta in ospedale, ma i miei genitori mi hanno lasciate libera di scegliere la mia strada», sottolinea Corti. «Verso i 16 anni ho avuto un rigetto per la missione, poi però mi sono iscritta a Medicina. Una volta laureata, ho capito che per essere davvero utile dovevo cercare supporti finanziari per mantenere l’ospedale, e così è stato». Oggi Dominique fa la spola fra Milano, l’Uganda e il Canada, dove la Fondazione Corti sta cercando di costruire una rete di amici a supporto dell’attività ospedaliera. «Dedizione, competenza e passione: mio padre e mia madre mi hanno educata con l’esempio. Per loro la priorità erano i pazienti e le loro esigenze. Al di là di ogni intervento internazionale più o meno estemporaneo, consideravano la continuità una preziosa via di sviluppo. Ed è in questa scia di servizio ed efficienza che noi oggi cerchiamo di portare avanti il loro sogno».
Per sostenere il Lacor hospital dal 10 al 20 novembre è possibile donare 2 o 5 euro con sms o chiamate da rete fissa al numero solidale 45565.