A settant’anni si stila il bilancio di una vita. E don Vinicio Albanesi, presidente fondatore della comunità di Capodarco, prete di strada, un’esistenza dedicata ai diseredati e i sofferenti, non si tira indietro neanche stavolta. E senza fare sconti a sé e agli altri, ripercorre la tappe più importanti della sua vita: dalle difficili esperienze in seminario, al complicato incontro con Dio. Dal rapporto libero coi potenti alle critiche ai cattolici manager del Cnca.
- Allora qual è, don Vinicio, il bilancio di questi settant’anni?
“Sono stato un uomo privilegiato, perché in fondo, non m’è mancato nulla, né in talenti, né in beni materiali, né, soprattutto, nella grazia della fede. Sì ho sofferto. Ho provato il dolore per la perdita dei genitori, ma ho trascorso una vita felice. Se il Signore domani mi chiamasse a lui, gli direi: ‘Eccomi. Scusami se non ho fatto proprio tutto quello che dovevo, se ho lasciato qualcosa da finire. Non sono un santo’. Ma vuol dire che il Signore voleva così”.
- A cosa assomiglia la vita?
“A un fiume: nasce in un certo posto e scorre verso il mare. Noi di nostro, forse ci allarghiamo un’ansa, ma non possiamo deviare di molto il suo corso. Ci è dato così. Per questo penso che il futuro non si possa programmare, ma ci si debba solo abbandonare. Non ho mai desiderato un altro corso”.
- Ma la vita a volte propone svolte, scarti importanti…
“Sembra ma non è così. Il mio esser prete, per esempio, m’ha portato da sé a scegliere la vita nella comunità di Capodarco e quindi a scartare la carriera diplomatica, per la quale avevo peraltro studiato.Ed è stata la mia salvezza. Nella vita, noi scegliamo poco, ma non vorrei, in ciò, fare troppo il luterano”.
- La figura della mamma è stata decisiva nella sua formazione. E’ così?
“Mia madre era postina, e col suo povero salario ha voluto con tenacia farci studiare. E’ morta senza avere intestato nulla a se stessa. Voleva farmi fare il salto di censo. E m’ha educato a un cattolicesimo essenziale, mai bigotto”.
- Invece della sua esperienza in seminario salva poco o nulla. “Un luogo, scrive nel libro, in cui nessuno m’ha aiutato a scoprire Dio”.
“E’ vero. Al di là della sofferenza e della solitudine di un bambino che vi entra a 11 anni e delle esperienze con alcuni pessimi educatori, il seminario mi ha fornito tante regole che dovevano servirmi per arrivare a Dio. Ma di Dio non m’ha parlato mai nessuno. Nessuno, lì dentro, me lo ha fatto desiderare davvero”.
- Il seminario è ancora così?
“Per quel che ne so, sospetto di sì”.
-E il volto di Dio quando e come le si è rivelato?
“Molti anni dopo, all’età di cinquant’anni. E ho scoperto il Dio della misericordia e della consolazione. Nel frattempo, per mia fortuna, ho vissuto di umanità: ho incontrato molta sofferenza, marginalità ma non mi sono perduto a interrogandomi sul senso del male che non porta da nessuna parte. Ma ho reagito rimboccandomi le maniche; cercando di dare sollievo, con affetto. Così ho incontrato il volto bello del Signore”.
-Potremmo dire: una vocazione precoce, ma una conversione tardiva.
“In qualche modo, sì”.
-Da qui la sua idea di un cristianesimo non flagellante, ma motore di speranza; via privilegiata per la vera felicità.
“Sì. Ed è la molla che m’ha spinto nella vita: com’ero felice io, sono stato portato naturalmente a cimentarmi nel far felice qualcun altro”.
- Un rimpianto però ce l’ha: aver studiato poco Sacra Scrittura.
“Sì, ho fatto tanti esami di diritto canonico e di teologia; nessuno di Scrittura. Ho dovuto recuperare da autodidatta, innamorandomi del linguaggio concreto del Vangelo”.
- Che qualità si riconosce tra le altre?
“Sicuramente una grande curiosità e la capacità di analizzare i miei errori e correggermi”.
- Qualcuno le rimprovera di essere diventato una “manager”.
“E’ la peggiore delle offese. Non ho autisti, né privilegi. Opero con tutto me stesso, ma un’organizzazione come una comunità d’accoglienza richiede professionalità. Per capirci: a giugno devi saper fare un bilancio o cambi mestiere”.
- Coi ruoli da lei coperti in questi anni (si pensi solo alla presidenza della Cnca) ha incontrato più volte politici, premier, ministri. Come si fa a eludere le lusinghe del potere?
“Ho cercato di avere sempre un rapporto di libertà col mondo della politica. Come? Non chiedendo mai nulla. Non ho mai scodinzolato. Non ha mai chiesto la carità per gli ultimi, né al presidente del consiglio, né al Papa. Non faccio manifestazioni, non mi piace alzare la voce. Il mio stile è far presente i diritti degli ultimi. Se una cosa è giusta, la affermi e basta. C’è una verità nelle cose che prevale con la sua sola forza, senza trattative, né compromessi”.
-Uno stile di comportamento che ha sempre pagato?
“Assolutamente sì”.
-Compare pochissimo in tv. E' una scelta precisa?
“Sì. La tv è una macchina che ti fagocita. Ebbi un momento in cui fui tentato dalla popolarità catodica. Tentazione nella quale è caduto invece qualche mio confratello. Devi accettare compromessi, calandoti in un ruolo determinato da altri e sei costretto ad alzare sempre di più il tono. Ho capito che ne sarei uscito triturato e ho detto ‘no’”.
- Con il mondo dell’informazione si sarebbe incontrato dopo inventando “Redattore sociale”, la prima agenzia di stampa rivolta esclusivamente al mondo del volontariato e dell’emarginazione. E’ così?
“Sì, quando ho capito che la rivoluzione francese non s’è fatta con la ghigliottina ma con la circolazione delle idee. I pensieri andavano comunicati”.
- Come giudica la stampa cattolica italiana?
“Credo che non abbia ancora capito che il nostro è un Paese scristianizzato: rischia di parlare solo ai protetti, a chi è dentro l’ovile, e a generazioni sempre più vecchie, senza dire nulla di significativo ai giovani e ai lontani”.
- Nel libro non ha risparmiato nemmeno i cattolici impegnati in politica e nella finanza…
“Se leggo il Vangelo trovo la via: l’amore per il prossimo non può che ispirare politiche di condivisione, forme di vicinanza e di solidarietà, strategie compensative. Invece le nostre letture del vangelo sono state emozionali e quindi devozionali. C’è stato un profondo tradimento di questi principi”.
-Ce ne fa un esempio?
"Prendiamo una banca cattolica: non può intercettare denaro senza conoscerne la provenienza. Insomma: la domenica predichiamo contro i profilattici e magari il lunedì investiamo nelle aziende che li producono. Com’è possibile che non si senta ancora l’esigenza di una banca etica. Ma è una partita che s’è persa già nel 1400 quando, contro il parere dei francescani, la cristianità ha legittimato gli interessi legali del prestito di denaro”.
- Mai andato in piazza a manifestare nel ’68?
“No. Ho vissuto da dentro il periodo della contestazione, ma non sono mai stato un entusiasta contestatore”.
- E dell’esperienza della Cnca?
“E’ stata una grande intuizione perché per la prima volta s’è fatta massa critica per portare avanti le istanze delle comunità e dar voce agli ultimi. Nella difficoltà di gestire esperienze molto diverse le une dalle altre, fin quando è stato condotto dai sacerdoti, il movimento è stato ispirato dalla gratuità e l’idealità. Quando sono arrivati i giovani manager ha perso la sua dinamicità”.
- Infine Papa Francesco: concorda anche lei sulla straordinarietà di quest’uomo?
“Assolutamente. Il Dio del creato ha concesso una ventata d’aria fresca e rassicurante a tutta la Chiesa, perché la sta riavvicinando agli uomini, al popolo, e la allontana dalla ‘casta’. Ha indicato ai pastori quel che devono fare: offrire speranza, aiuto e futuro”.