Fra i tanti che hanno potuto conoscere
in profondità don Gnocchi c’è il senatore
a vita Giulio Andreotti, che ebbe
occasione di frequentarlo sin dal 1947,
quando era sottosegretario alla Presidenza
del Consiglio e uno dei principali
collaboratori di Alcide De Gasperi.
«La prima volta che don Carlo venne
a trovarmi», racconta il senatore Andreotti,
«fu estremamente esplicito e
mostrò di avere le idee chiare: “Non
vengo a chiedere nulla, ma soltanto a
offrire la mia disponibilità”».
Cosa intendeva dire?
«Voleva sottolineare la necessità che
il Governo si attrezzasse per rispondere
ai nuovi bisogni sorti dopo la guerra.
Lui si era già mosso in tal senso e dunque
sentiva il dovere morale di mettere
al servizio della collettività quanto aveva
intuito e avviato. In modo molto diretto,
quasi imperativo direi, riuscì a
convincere noi responsabili della pubblica
amministrazione che dovevamo
attrezzarci con una mentalità nuova, e
non soltanto offrendo contributi economici, per rendere i giovani mutilati non
degli “assistiti”, bensì elementi attivi
nella società».
Don Gnocchi non si limitò a occuparsi
dei mutilatini, fu un pioniere anche
in altre questioni sanitarie…
«È vero. Fu tra i primi a sollecitare
che venisse effettuata la vaccinazione
obbligatoria contro la poliomielite, che
l’opinione pubblica non vedeva con favore.
E poi, in fin di vita, espresse la volontà
di donare le cornee a due ragazzi
non vedenti, quando in Italia il trapianto
d’organi non era ancora disciplinato
giuridicamente. Il suo generoso gesto
accelerò il dibattito in Parlamento e favorì
il varo di una legge sul tema».
Quali aspetti di don Carlo Gnocchi
la colpirono di più?
«Appariva immediatamente attraente,
affidabile, convincente. Il fascino sacerdotale
che promanava attorno a lui
era qualcosa di straordinario, la sua trasmissione
della fede era contagiosa.
Don Carlo amava dire, con un sorriso
ironico, che il sacerdote
non si doveva fare
soltanto in chiesa e in
sacrestia, ma anche
nel resto della vita.
Un insegnamento valido
ancora oggi, poiché il vero sacerdote
vive i problemi degli altri uomini, e
quindi non soltanto svolge un’azione
evangelizzatrice, ma anche un impegno
di comunione».
Leggendo gli atti del processo di beatificazione,
c’è stata qualche testimonianza
che l’ha colpita?
«Sono tanti gli episodi minuti che ce
ne tramandano lo spessore. A un vigile
romano che lo aveva fermato per eccesso
di velocità mise in mano un santino
e ripartì dicendo: “Vado di fretta perché
ho più di 200 bambini da mantenere”.
Per far giocare a calcio i bambini ciechi
cucì un barattolo di latta nel pallone,
che indicava loro la posizione della palla.
Quando ebbe la medaglia d’oro del
Comune di Firenze, a chi gli chiese se
era contento rispose: “Quando mi presenterò
al Padre Eterno mi dirà: Cosa
vuoi? Hai già ricevuto tanta ricompensa
in terra...”. Anche per questi riconoscimenti,
e per qualche accelerazione
burocratica che pure io ho contribuito
a compiere in favore della sua opera, talvolta
suscitava invidie e gelosie. Però,
se avesse percorso l’iter consueto, probabilmente
ora non staremmo qui a parlare
del beato don Gnocchi!».