La Legge Merlin del 1958 ha segnato una svolta sul piano dei diritti e della dignità delle donne costrette, o indotte da condizioni sociali ed economiche svantaggiose, a prostituirsi. Ha posto fine alla loro schedatura, le ha tutelate come persone deboli, ha inasprito le pene a difesa delle minorenni e ha permesso di guardare la prostituzione per quello che è – un dramma umano e un affare criminale – senza più quelle ipocrisie che l’hanno giustificata come un fatto ineluttabile o, peggio, come una tappa avventurosa della “formazione” maschile. Non solo, grazie alla Legge Merlin – scaturita da anni di indagini sulle “case chiuse” e sulle umiliazioni di chi ci viveva – sono stati ideati altri dispositivi di legge (l’art.18 del ’98 e la legge sulla tratta del 2003) che garantiscono per le vittime di questi giri criminali mafiosi la possibilità di uscirne, la protezione da ritorsioni, l’opportunità di trovare un lavoro e una dignità. Ecco perché chi vuole abolirla, vuole tornare a un passato che è bene invece archiviare per sempre.