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martedì 17 settembre 2024
 
 

Don Ciotti e la 'ndrangheta del Nord

15/06/2011  Don Luigi Ciotti, presidente e fondatore di "Libera", racconta l'espansione della criminalità organizzata in Piemonte e Lombardia.

L’”operazione Minotauro”, compiuta in Piemonte contro la ‘ndrangheta dalle forze di polizia, dai carabinieri e dalla guardia di finanza, insieme alla magistratura , che ha portato a 148 arresti e a beni sequestrati per 117 milioni di euro, dopo cinque anni di pedinamenti, intercettazioni telefoniche e ambientali, appostamenti, è una pietra miliare nella lotta contro la criminalità organizzata. Ma come ha detto don Luigi Ciotti, Presidente di “Libera” , l’associazione contro tutte le mafie, da anni in trincea fra nord e sud, obbligato a muoversi con la scorta, «non può essere solo un punto di arrivo, deve diventare anche un punto di partenza perchè le mafie sono abilissime nel rinascere continuamente dalle ceneri delle loro sconfitte».


Don Ciotti, per tanti è stata una sorpresa che la ‘ndrangheta, meno nota fuori dal suo territorio di altre organizzazioni mafiose e forse anche più sottovalutata, si sia infiltrata così capillarmente in Piemonte e nella stessa Torino...


«Non è una sorpresa. I segnali c’erano tutti e da tempo. La magistratura e le forze di polizia li avevano ben presenti, come gli amministratori più attenti e quella parte di «società responsabile» che ogni giorno s’impegna contro le varie forme d' illegalità e di mafiosità. Quest’ ultima operazione colpisce per il numero di persone coinvolte e la rilevanza dei reati scoperti , ma già negli anni e nei mesi scorsi , diverse inchieste avevano portato alla luce una presenza pesante, ramificata della mafia calabrese e di altri gruppi criminali in settori economici importanti e in segmenti di istituzioni di varie regioni dalla Lombardia all’Emilia , dal veneto alla Liguria».


Il suo ingresso nella politica minore, nei piccoli centri di provincia, nelle pieghe della società civile rivela una trasformazione del territorio. Quali fattori l’hanno favorita?


«L’ndrangheta al Nord è una presenza che viene da lontano, dagli anni cinquanta, con il soggiorno obbligato. L’espansione delle mafie è nel loro DNA. Da sempre cercano, e sottolineo CERCANO, d’infiltrarsi nei territori, i particolare in quelli dove circola di più il denaro. Entrano in contatto con gli Amministratori, gli imprenditori, i commercianti, usano le enormi disponibilità economiche che derivano dai traffici illeciti, per condizionare, comperare, assicurarsi favori e privilegi. L’organizzazione criminale ha soprattutto un obiettivo: fare soldi e per farli si muove dove le opportunità d' arricchimento sono maggiori. S’infila nelle crepe del bene comune, favorita dall' illegalità diffusa, dalla corruzione e dalla erosione fiscale. I bilanci falsati non sono reati mafiosi, ma sono spesso terreno fertile per gli affari criminali».


Lei in questi giorni ha citato più volte la lucida analisi sulle strategie mafiose, fatta da Anna Maria Tarantola, vicedirettore generale della Banca d’Italia...


«Sì, sono parole di una donna coraggiosa, che vengono dall’interno del potere economico e fanno meditare. E voglio ricordarle ancora una volta : « La criminalità cerca in tutti i modi di rendere effettiva la propria capacità di spesa per assicurarsi il godimento del frutto del crimine, ma anche per acquisire il controllo di attività economiche legali, aumentando la propria presa sul territorio. Il riciclaggio rappresenta infatti un “ponte” fra criminalità e società civile che offre ai criminali – che dovrebbero essere per definizione “banditi” dalla società – gli strumenti per essere invece accolti e integrati nel sistema, arrivando a sedere nei consigli di amministrazione e a contribuire all’assunzione di decisioni economiche, sociali e politiche rilevanti. Un particolare profilo di questa dimensione sociale del riciclaggio è il suo potere di “coinvolgimento” e corruzione. Il criminale ha la necessità –per ripulire i propri capitali illeciti- di avvalersi di operatori economici operanti nei circuiti legali, banche, finanziarie, professionisti».


Che cosa è urgente fare per combattere un fenomeno che rischia di travolgere e di bruciare anche i pezzi sani del Piemonte e del suo capoluogo?


«Torino è una città onesta, con tanta gente che lavora con sacrificio e dedizione. Il Piemonte è una regione con risorse eccezionali, fantasia e impegno imprenditoriale e professionale. Non si deve demonizzare nessuno, né gettare sospetti indiscriminati, ma c’è bisogno di giustizia e di verità. La lotta contro le mafie non è una questione meridionale, né settentrionale, neppure italiana E’ una questione che riguarda tutti noi, il nostro futuro, la possibilità di assicurare ad ogni persona onesta una vita libera e dignitosa . E’ l’etica individuale, quella che ci rende autentici e responsabili, scritta nelle nostre coscienze, tradotta in parole e gesti coerenti, l’anticorpo principale contro la mafia e l’illegalità. La mafia non troverà più brecce, se sapremo essere uniti, collaborativi , se ciascuno saprà fare la sua parte con onestà , responsabilità , impegno. La storia c’insegna che, mentre può e deve esistere una politica senza mafia, non possono esistere mafie senza il concorso e la collusione della politica, senza la zona grigia creata da uomini-cerniera, dai colletti bianchi che siedono nelle zone deviate delle istituzioni e favoriscono l’infiltrazione criminale . La forza delle mafie sta fuori dalle mafie, le radici del crimine stanno nei vuoti etici e sociali, nell’omertà , nella complicità, nella corruzione. Il bacino di raccolta delle mafie è alimentato dall’indifferenza, dall’assuefazione all' illegalità, dalla delega che rafforzano una mentalità favorevole alle logiche mafiose».

Il colonnello Antonio De Vita, dedicando con commozione i risultati dell’”operazione Minotauro” ai suoi due carabinieri, morti nel 2009 nella lotta contro la droga, ha ricordato che l’operazione è stata fatta “da uomini straordinari con mezzi ordinari”. Ma ha anche ricordato che la partita per essere vinta ha bisogno della collaborazione di tutti dell’aiuto degli uni con gli altri...

«Dobbiamo essere molto grati a questi uomini straordinari che si sono impegnati, senza arrendersi per anni, in una scommessa molto difficile e complessa. E lo hanno fatto con impegno e passione, nel silenzio e nel rischio. Ma lo stesso Paolo Borsellino, di fronte ai successi contro la criminalità, durante il maxiprocesso, avvertiva della possibilità di cadere in una “pericolosissima illusione”, in “perniciose illusioni” di cessata pericolosità, diceva che non sono consentiti allentamenti e calo di tensione. I successi contro la mafia rischiano di vanificarsi se non si crea una continuità , se si abbassa la guardia. Non basta più parlare sempre e solo di mafie. E’ necessario ampliare lo sguardo, saper riconoscere la lunga mano delle mafie nelle pieghe della vita sociale. Impegnarsi contro la criminalità organizzata, significa lavorare per l’eguaglianza, i diritti e i doveri, la famiglia, la cultura, l’informazione libera. Per una politica che è servizio del bene comune».


Molti sacerdoti da, don Giuseppe Puglisi a don Giuseppe Diana, sono stati uccisi dalla mafia. Se forse fossero stati meno soli, la criminalità non avrebbe osato tanto. Lei come prete spesso ripete che bisogna saldare il cielo alla terra. Quale deve essere l’impegno della Chiesa e della comunità ecclesiale nei confronti di questa piovra?


«Là, dove viene messa a rischio la dignità delle persone e violato, soffocato, un progetto di giustizia, la Chiesa ha il dovere di parlare con chiarezza e trasparenza evangelica.Con coraggio e forza. La comunità cristiana, sensibile alla promozione delle esigenze interiori dell’uomo e del bene comune, è chiamata ad offrire il proprio contributo alla crescita della legalità, anche se consapevole che gli obiettivi della Chiesa sono d' ordine morale e spirituale. Carità e giustizia sono indivisibili. La testimonianza cristiana e la responsabilità civile sono il duplice impegno con il quale il cristiano si fa compagno di strada di ogni uomo di buona volontà».

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