Don Claudio Burgio, 53 anni, è il cappellano del carcere minorile “Beccaria” di Milano, dal quale, il giorno di Natale, sono evasi sette detenuti. Don Claudio è anche il responsabile della comunità Kayros che si occupa di minori in difficoltà.
Don Claudio, quali sono le ultime notizie dal “Beccaria”?
“Ieri sera è stato preso un quarto ragazzo evaso, quindi tre ragazzi mancano ancora all’appello. Sempre ieri nove ragazzi sono stati trasferiti a Bari, e altri saranno ulteriormente smistati su altre carceri italiane del Sud".
Si trasferiscono i ragazzi per allentare la tensione?
“È chiaro che che il ‘Beccaria’ in questo momento è molto in affanno per molti motivi, come l’assenza di personale. Ma i cappellani segnalano che ci sono problemi in altri carceri minorili, a Bologna, a Roma, in Sicilia. Ci sono diversi problemi di contenimento di questi ragazzi. C’è una situazione di forte tensione che si respira in tutte le carceri”.
Da dove nasce questo disagio diffuso?
“Per almeno due motivi. Il primo è il fatto che chiaramente mancano le risorse per il personale e per sostenere le proposte formative, quindi i ragazzi quando passano troppo tempo nelle celle in una sorta di abbandono, non vivono il tempo del carcere come un tempo che possa preludere una vera libertà, a un cambiamento della personalità. Il secondo motivo è che all’interno del carcere, essendo l’estrema ratio, arrivano ragazzi sofferenti dal punto di vista psichico, consumatori di sostanze, quindi ragazzi molto irrequieti, difficili da gestire. In questo periodo mancano presidi di accompagnamento, aiuto e sostegno dal punto di vista medico e neuropsichiatrco. Direi che il Beccaria, come altre realtà penitenziarie minorili, vive l’assenza importante di tutte queste figure. Manca ad esempio un mediatore linguistico e culturale. Uno dei ragazzi evasi è un minore straniero non accompagnato e come tale un ragazzo che ancora non parla bene la lingua italiana, non capisce dove è, quindi è ovvio che se mancano figure che possano fra comprendere al ragazzo che cosa sta avvenendo, al primo buco nella struttura, quel ragazzo si infila ed evade. Fra l’altro si tratta di un ragazzo che aveva mostrato grande educazione e grande impegno".
Le comunità esterne al carcere, come la sua Kayros, possono essere di aiuto?
“Ci sono ragazzi che attendono da molto tempo di essere inseriti nelle comunità. Ma qui al nord, e questo è un atro gravissimo problema di cui si parla poco, le comunità sono in chiusura per l’impossibilità di reperire educatori. Molti educatori si rivolgono ad altre attività, nessuno vuole farlo in comunità”.
Quindi manca accanto ai ragazzi la presenza di figure adulte?
“Sì. il primo problema parte fuori dal carcere, molti di questi ragazzi sono in carcere perché sono rientrati dalle comunità. Se le comunità fuori, fondamentali per la giustizia minorile, non funzionano o chiudono, non riescono comunque a contenere questi ragazzi e a dar loro prospettive concrete di vita buona, è chiaro che questi ragazzi ritornano a delinquere e ritornano al Beccaria. Quando entrano per una seconda o terza volta questi ragazzi hanno uno sguardo disperato, non hanno più niente da perdere”.
Nella sua comunità come va?
“Io ho 50 ragazzi, non ho gli agenti di polizia penitenziaria, ho i cancelli aperti giorno e notte, eppure non scappa nessuno. Sono comunque adolescenti e magari fanno piccole trasgressioni, ma dove c’è una proposta seria di di formazione, di vita bella comunitaria, i ragazzi non hanno necessità di scappare”.
Quindi la soluzione al disagio dei giovani detenuti è dare prospettive credibili?
“Se il carcere rimane solo una struttura di reclusione è chiaro che da una parte non corrisponde al dettato costituzionale, perché non c’è nessuna rieducazione, poi alimenta in questi ragazzi un’identità criminale. Quindi in un momento dell’adolescenza in cui uno forma una propria identità, c’è il rischio che lo stigma del carcere alla fine alimenti questa immagine di sé da criminale che in qualche modo si cristallizza e porta a molte recidive, all’impossibilità di uscire dal circuito penale”.
La vicenda di questi giorni, questa attenzione sul “Beccaria”, potrà favorire la soluzione di qualche problema?
“I problemi da risolvere sono profondi, ci vorrà molto tempo, non colpevolizzo nessuno. Ma vedo il rischio che l’istituto minorile rischi di essere minore in tutti i sensi. Confido che il ministero della Giustizia , che conosce la situazione, apra delle prospettive concrete. Ora attendiamo almeno la fine dei lavori di ristrutturazione a maggio (ci sono lavori che si protraggono da vent’anni e questo provoca continui trasferimenti di ragazzi). C’è poi la promessa di avere finalmente entro settembre un direttore stabile per questo istituto che per anni era considerato un modello”.