«Monsignor Lorefice? No, sono don Corrado». L’intervista con il nuovo arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, inizia così. E questa frase testimonia la semplicità del parroco della chiesa di San Pietro di Modica, scelto da Papa Francesco per guidare una delle diocesi più importanti d’Italia nonché sede cardinalizia. La nomina del parroco di periferia è accolta con entusiasmo in città: dai fedeli ai sindacati, dalle associazioni al sindaco, dai parlamentari siciliani ai volontari, è tutto un fiorire di reazioni positive, di applausi a scena aperta per la scelta del Pontefice.
Nel dare il benvenuto al nuovo arcivescovo e nel lodare Francesco per la scelta, il sindaco Leoluca Orlando annuncia il conferimento della cittadinanza onoraria al predecessore di Lorefice, il cardinale Paolo Romeo, per ringraziarlo del suo servizio. Don Corrado Lorefice (attualmente vicario episcopale per la Pastorale della Diocesi di Noto) ha 53 anni e, per un solo anno, non raggiunge il record dell’arcivescovo più giovane della storia di Palermo, il cardinale Salvatore Pappalardo, celebre in tutto il mondo per la sua storica omelia su “Sagunto espugnata”, in occasione dei funerali del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso dalla mafia nel 1982.
Le sfide che attendono il successore del cardinale Paolo Romeo saranno numerose e delicate: accoglienza degli immigrati, antimafia, povertà, disoccupazione, riscatto delle periferie, emergenza abitativa. Don Corrado Lorefice dedicherà una particolare attenzione ai diritti dei detenuti. All’indomani della cerimonia del suo insediamento, in programma il 5 dicembre nella Cattedrale di Palermo, visiterà, infatti, le carceri palermitane. Un’altra tappa, invece, saranno i monasteri di clausura, per incoraggiare gli ospiti nel loro cammino.
Don Corrado, una delle prime sfide sarà l’immigrazione, con i frequenti sbarchi in Sicilia. Palermo è una città multietnica dove non attecchisce il razzismo e dove prevale la solidarietà. Peraltro il nuovo rapporto Caritas sull’immigrazione spazza via pregiudizi, stereotipi e allarmismi, spesso creati ad arte.
«Non è una questione di paternalismo o buonismo. È l’identità stessa del Cristianesimo e del Vangelo ad imporre l’accoglienza e la solidarietà nei confronti dei forestieri. L’immigrazione è un fenomeno epocale che interpella sia la Chiesa come comunità diocesana, sia lo Stato come entità pluralista e società aperta».
Altre sfide importanti riguardano le vecchie e nuove povertà, il diritto al lavoro e alla casa per tutti.
«Sono questioni decisive. Uno dei miei primi propositi sarà quello di dialogare proficuamente con le istituzioni locali, partendo proprio dal basso, dalla tutela dei più deboli e dei più poveri. La politica è un’attività nobile che va intesa come servizio nei confronti della collettività e come condivisione delle necessità del popolo. La Chiesa e lo Stato devono unire le forze per contrastare la distribuzione iniqua delle risorse e delle ricchezze. In concreto, mi ispirerò ai progetti di assistenza nei confronti delle famiglie prive di abitazione e lavoro, progetti già sperimentati nella parrocchia di Modica».
Da sempre, due ispiratori della sua missione sono don Giuseppe Dossetti, padre della Costituzione, e don Pino Puglisi, martire dell’antimafia sociale. Al loro esempio ha dedicato anche due suoi libri.
«Sono due figure che hanno profondamente inciso nella mia vita. Dossetti era protagonista del rinnovamento dello Stato (Assemblea Costituente) e del rinnovamento della Chiesa (Concilio Vaticano II). Insieme al cardinale Lercaro, invocava una Chiesa povera per i poveri, come fa adesso papa Francesco. Una Chiesa libera, autentica e semplice, lontana dalle tentazioni del potere».
E Padre Puglisi?
«Ringrazio la provvidenza del Signore che mi ha fatto incontrare il Beato Pino Puglisi, con il quale ho collaborato al Centro Regionale Vocazioni di Sicilia. Don Pino rappresentava una Chiesa di frontiera, lontana dai riflettori; una Chiesa che agiva sul territorio, per il riscatto sociale delle coscienze e delle periferie. Una Chiesa ministeriale attenta a promuovere e valorizzare tutte le vocazioni nello stile e nella prassi della diaconia, ovvero del servizio di chi sa di dover sempre scegliere di essere il più piccolo e il servo di tutti».
Come sta vivendo questi intensi giorni che precedono l’insediamento?
«Ho il cuore ancora pieno di stupore per l’inattesa nomina. Quando il Nunzio apostolico in Italia, monsignor Adriano Bernardini, mi ha convocato a Roma per confidarmi la scelta di papa Francesco, ho immediatamente avvertito il senso della mia inadeguatezza. Ma, fissando il Crocifisso che mi stava di fronte, ho pensato subito alle parole di San Paolo: “Tutto posso in colui che mi dà la forza”».
In una lettera aperta ai fedeli di Palermo, ha rivolto un deferente pensiero ai presbiteri e ai diaconi. Come si comporterà nei loro confronti?
«In questo mio delicato ruolo mi sentirò particolarmente legato a tutti i presbiteri, a me carissimi, ai quali intendo dedicare, nel dialogo franco e leale, un ascolto attento, alimentato dalla comune obbedienza al Vangelo e dalla condivisione dell’unico pane eucaristico, sacramento di carità e di unità che Gesù ha lasciato come eredità preziosa ai suoi discepoli. Ai diaconi, che saluto nel nome di Cristo servo, desidero, invece, porgere l’invito a mantenere vigile l’attenzione ai più piccoli, ai più poveri, agli ammalati, così da aiutare tutta la Chiesa ad abitare con verità le vie delle periferie umane».