È quasi una vocazione seguire il
Papa giorno dopo giorno. Dietro
le quinte, con discrezione.
Senza invadere la sfera privata,
ma senza che nulla sfugga nel
racconto al mondo. Monsignor Dario
Viganò, direttore del Centro televisivo
vaticano, dice della commozione che
spesso prende gli operatori e del grande
stupore che, pure in questo secondo
anno di ponti cato, continua a contagiare anche chi, per professione, lavora
accanto a papa Francesco.
- Un ciclone. Dopo il primo anno
avete preso un po’ le misure?
«Dopo la prima fase di assestamento
che ci ha aiutato non solo a conoscere
il Papa e a farci conoscere ma
anche a capire che rapporto lui ha con
la Tv, cosa ne pensa, in questo secondo
anno abbiamo cominciato a codi care
un po’ le regie “stile Francesco”, abbiamo
cioè cercato di dare regole narrative
agli incontri del Papa, sapendo che oggi siamo di fronte a quello che chiamo
“eventizzazione” del quotidiano».
- E cioè?
«Quando si pensa a un media event,
a un grande evento mediale, è necessario
studiare e progettare una vera
strategia. Nel caso di papa Francesco,
invece, la sua forza – forza paradossale
nella fragilità perché è un uomo
che parla anche lentamente e con poca
voce, per esempio, ma che ha la forza
degli occhi, dello sguardo, del corpo
– fa sì che ogni incontro quotidiano
diventi un evento. Ricordiamo l’idea
di far distribuire un libricino con la
dottrina cattolica dai senzatetto: così,
un momento del tutto ordinario diventa
un evento mediale. Con le conseguenze
che ne derivano. È proprio il
gesto, l’imprevedibilità che scombina
l’agenda dei media».
- Difficile star dietro a tutto?
«Non c’è spazio per le distrazioni:
gli operatori sanno essere discreti e
molto disponibili perché il Papa non è
l’uomo del protocollo rigido, piuttosto
dell’incontro. Siamo sempre con lui,
anche nelle cose inaspettate, ed è una
grande fortuna perché possiamo poi
documentare al mondo anche questi
momenti così estemporanei e così importanti. Penso per esempio
alle immagini al muro di separazione
di Betlemme, che non avremmo mai
avuto se non ci fosse sempre un nostro
operatore con il Papa. Gli operatori del
Ctv sono grandi professionisti, ma vivono
il loro lavoro come una vocazione,
con passione. Dunque, da un lato
la fatica per non poter mai abbassare
la soglia di attenzione, ma dall’altro
anche la responsabilità, che è gioia, di
poter raccontare al mondo il Papa».
- Il Papa si è abituato a stare
sempre sulla scena?
«Non credo che si sia mai abituato
e non credo che ami molto questa
cosa. È il motivo per cui ha ri utato
le richieste, giunte da tutte le parti del
mondo e dai più disparati registi, per
fare un documentario, come si fece per
altri Ponte ci, sulla giornata del Papa.
“Il Papa non posa”, mi ha detto. Non ha
passione per essere ripreso, ma sa che
la sua vita è totalmente dedicata, non
può trattenere nulla per sé, neppure il
tempo. È un Papa che si lascia interamente
consumare, anche da una presenza,
quella della Tv, che non ama, ma
che sa essere l’unico modo con cui può
raggiungere tutto il mondo».
- Il Papa del dietro le quinte è diverso
da quello che “va in onda”?
«Non c’è una scena e un retroscena.
Il Papa è così come lo vediamo: cordiale,
attento alle persone, ma anche capace
di decisione. Con una forza spirituale
che si sente in ogni piccola cosa:
un uomo che vive di Dio».
- Un aneddoto per descriverlo?
«Cito solo il viaggio nello Sri Lanka
e a Manila. Durante la Messa a Tacloban
pioveva a dirotto, ma il Papa non
si è scomposto, ha preso uno di quei
soprabitini di cellophane giallo, se l’è
messo e ha fatto il giro in papamobile.
La gente era lì e lui non poteva non
farsi consumare da quegli sguardi che
attendevano una visita come un balsamo
di consolazione. Però è un uomo
anche molto pragmatico. Dovevamo
partire subito, l’aereo governativo che
è partito un quarto d’ora dopo di noi
ha avuto 17 contusi. Il Papa quindi ha
evitato la concelebrazione con il seguito
papale per dedicare il tempo a
incontrare le persone. Quando è entrato
in cattedrale ha detto alle suore:
“Vi devo dire due cose. La prima, che
il Papa deve fuggire subito perché sta
arrivando il tifone e se cade l’aereo del
Papa, il Papa muore. E, quando le suore
hanno fatto “ohhhhh”, in inglese ha
aggiunto: “Be quiet”. Dal punto di vista
comunicativo ha uno stile conversazionale,
come quando dice buona sera
o buon pranzo. E poi, quando è morta
la volontaria colpita dal traliccio ha
fatto subito chiamare il padre per incontrarlo.
Dagli aneddoti si capisce
che lui è un uomo a cui giunge qualunque
cosa capiti e che è in grado di
dare subito risposte».