Chi l’ha ritratto nel bronzo, lungo le rive del Ticino, gli ha messo un braccio attorno alle spalle di un ragazzo e l’altro a indicare un punto lontano in direzione della Casa del Giovane. Era davvero così don Enzo Boschetti: un maglione blu o nero con la zip e un paio di calzoni che avevano visto tempi migliori. Se gli avessero detto che un giorno gli avrebbero eretto un monumento avrebbe scosso la testa, pensando a quanto aliena dalla retorica fosse la sua sobrietà. Forse per com’è venuto, nel ritratto realizzato da Stefano Garlanda con il padre e il fratello, gli sarebbe anche piaciuto, perché non è monumentale e perché gli somiglia davvero tanto (l’originale dell’opera si trova a Biella, la versione di Pavia è una copia).
Don Enzo Boschetti faceva quello nella vita: indicava una via di futuro a ragazzi che stavano smarrendo il presente. Lo faceva lì dove lo vediamo, a Pavia, zona di Ticinello, a pochi isolati dal centro storico: in un quartiere residenziale, nato ai tempi del boom economico, come salotto buono. Lo era, ma non per tutti. Era il 1968 e l’emergenza si chiamava eroina. Dove ora ci sono il parcheggio e la chiesa del Sacro Cuore c’erano i giardinetti e una scuola e non era così raro trovare una siringa conficcata nella corteccia di un albero. Don Enzo vide lì il margine e lo affrontò: con pragmatismo poco smanceroso, concretamente. Dato che la parrocchia, il Ss. Salvatore che la città conosce con il nome dell’oratorio San Mauro, era oltre il ponte della ferrovia, don Enzo trovò tra mille difficoltà il modo di arrangiarsi con quel che c’era contando sulla disponibilità delle persone: uno scantinato consacrato divenne la sua chiesa. Di giorno vi celebrava la Messa, di notte vi accoglieva ragazzi smarriti togliendoli dalla stazione e dalla strada. Nato come un garage, lo scantinato era buio e grigio anche alla Messa della domenica e niente ne nascondeva le origini, ma pulsava di un’idea, forse estrema per i tempi, di carità. Don Enzo l’aveva maturata crescendo.
Nato a Costa de’ Nobili da una famiglia modesta, Enzo era fuggito di casa a vent’anni per il Carmelo, per sette anni fu frate carmelitano con il nome di Fra Giuliano, anche missionario in Kuwait, ma la vocazione adulta andò maturando, in un tormentato percorso interiore, in un’altra direzione: il sacerdozio alla frontiera, il servizio del Vangelo alla lettera. «Quello che avete fatto a ognuno di questi piccoli, l’avete fatto a me». I suoi piccoli erano ai margini della società, ultimi che nessuno voleva perché turbavano la quiete patinata del salotto buono. Non dev’essere stato neanche facile all’inizio farsi ascoltare. Ma ha avuto ragione lui: per il quartiere, 25 anni dopo la sua morte avvenuta a 63 anni il 15 febbraio del 1993, i ragazzi della Comunità Casa del giovane sono ancora oggi «i ragazzi di don Enzo».
La Casa del giovane, riconosciuta dalla Chiesa nel 1992, ora è una struttura complessa (dieci comunità, un centro d’ascolto e quattro centri diurni), accoglie forme diverse di disagio (minori, mamme e bambini maltrattati, persone nella spirale delle dipendenze). Le dipendenze restano il nucleo centrale: l’azzardo soprattutto, l’emergenza del momento in città. A suo modo oltre vent’anni dopo di lui anche il movimento No Slot, nato in seno alla Comunità e animato dallo psicologo Simone Feder, è un’eredità di don Enzo. Vi si riconosce tutta la sua capacità di fiutare il problema e farsi su le maniche. Lo scantinato ora è colorato e luminoso, accoglie la mostra permanente Dal buio alla luce, dedicata alla storia della Casa del Giovane e di don Enzo. Dal 2005 la Cappella del Sacro Cuore è una chiesa vera, concepita nel 1993, e illuminata dalle vetrate di Padre Costantino Ruggeri.
Tutto quello che c’è è figlio di don Enzo, perché lo animano le persone che hanno continuato nel suo nome, a cominciare da don Arturo Cristani, dal 2008 responsabile e anima di una Comunità sempre più corale. Prima di lui era toccato a don Franco Tassone, oggi parroco del Ss. Salvatore: a lui l’incontro con la Casa del giovane e con don Enzo ha cambiato la vita molto al di là dell’immaginazione. Entrato studente di Economia in Sevizio civile, ne è uscito sacerdote, preparato a dirigerla per volere di don Enzo che sentiva il tempo correre: «Quando ha capito che mi avviavo al sacerdozio mi ha detto: “Devi cambiare facoltà, perché qui servirà presto un responsabile di Comunità”». Era il 1993 e don Franco a trent’anni, dottore in Giurisprudenza, fresco di abito talare, si trovò tutto sulle spalle, larghe per fortuna.
Don Enzo Boschetti ora ha una causa di Beatificazione in corso. Chiusa la fase diocesana, il 15 febbraio 2008 è stato dichiarato Servo di Dio. E questo sì gli sarebbe piaciuto, perché ha passato la vita a servirlo in coloro in cui troppi altri non vedevano neanche persone.