Don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile. Foto tratta dal sito ufficiale della Conferenza episcopale italiana (Cei).
Nelle inutili lamentazioni che spesso affollano i discorsi di chi vive la vita di chiesa, non mancano le osservazioni sui tempi ormai andati e sull’inutilità di proporre qualunque cosa per sostenere il cammino dei giovani. Tanto, si dice, sono quello che sono. «Noi vogliamo dissentire da questi profeti di sventura », disse un bergamasco illustre e ormai santo aprendo il Concilio. Era Giovanni XXIII.
Mi metto umilmente alla sua scuola, per dire che un Sinodo con i giovani al centro, altro non è che il tentativo di riflettere su chi siamo, su cosa stiamo generando, su come vorremmo che i nostri figli abitassero il mondo. La Chiesa non può rinunciare alla forza che il Vangelo ha per rendere nuova l’umanità, anche se appare più difficile di ieri.
Per questo ci si mette per strada. Perché da quando ciascuno di noi ha provato ad appoggiare i piedi per terra, il suo corpo, quasi spontaneamente, ha cercato un orientamento, una direzione. Se proprio dobbiamo pensare di averla smarrita, è tempo di rimettersi a cercarla. Una strada serve a questo: ai ragazzi come agli adulti. A ritrovare un senso per sé e per questo mondo. Un Sinodo ha il coraggio di affrontare le domande più difficili; un cammino fa sorgere dentro al cuore delle risposte. In questi giorni trentamila giovani si fanno pellegrini, custoditi dai loro fratelli maggiori: preti ed educatori che credono nella forza dell’ascolto e dell’accompagnamento. Altrettanti (più o meno) li raggiungono a Roma per ritrovarsi a pregare insieme al Papa. In tempi di lamentazioni, questa è la risposta: non fa nulla se non sentiamo di avere la verità in tasca; ci si può sempre muovere per provare a cercarla insieme.
Chissà che a questi giovani non venga dato di capire che il solo gesto di mettersi a cercare è segno di vita che cresce dentro di noi; chissà che agli adulti che li accompagnano non appaia che la dedizione e la cura sono la risposta più importante per costruire un’umanità nuova, quella del Vangelo. Ci basterebbe tornare a casa con un po’ di speranza e provare a spegnere un po’ di quelle paure che stanno provando a dirci dell’impossibilità di vivere da fratelli. Essere responsabili di sé e del mondo, sentire l’impegno della cura e di relazioni buone, aprire il cuore alla solidarietà e all’incontro: è davvero così difficile recuperare l’umano del Vangelo? Pensiamo di no: ecco perché dissentiamo dai profeti di sventura, perché crediamo che lo Spirito soffi ancora nel cuore di questi ragazzi. E chissà che, attraverso di loro, qualche refolo non giunga anche a noi adulti. Magari un po’ smarriti, ma non del tutto persi.