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il caso
 

Don Francesco Pieri e quel clamore che non aiuta

20/11/2017  «La verità va detta sempre, ma senza demolire le persone». Così il presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII Paolo Ramonda sul post del sacerdote bolognese don Francesco Pieri che ha accostato il boss Totò Riina a Emma Bonino

“Usare tono come questi, esasperare le contrapposizioni suscita clamore ma non aiuta”. Questo il commento di Paolo Ramonda, responsabile della Comunità Papa Giovanni XXIII, riguardo la frase choc pubblicata sulla bacheca facebook di un sacerdote bolognese, don Francesco Pieri.

“Ha più morti innocenti sulla coscienza Totò Riina o Emma Bonino?” ha chiesto provocatoriamente il prelato, riferendosi evidentemente all’impegno della Bonino per la legge sull’aborto. Ne è nato un caso che si aggiunge a quello recentissimo di un altro sacerdote bolognese, don Lorenzo Guidotti. Questa volta però non si tratta di un parroco qualunque ma  di un docente della Facoltà teologica dell’Emilia Romagna. Parole che feriscono non solo la Bonino, perché l’aborto è comunque un dramma, cui non ha fatto seguito nessuna parola di rettifica o di chiarimento. Anche la Curia di Bologna non ha voluto esprimere distinguo o giudizi ma si è limitata a “un no comment” mentre un altro sacerdote bolognese, don Massimo Vacchetti, vice economo dell’Arcidiocesi e responsabile della pastorale sportiva, non ha esitato a esprimere il suo “mi piace”.

“E’ una questione di toni e di modi”, ribadisce Ramonda, “la verità va detta sempre, ma senza demolire le persone”. La Papa Giovanni di impegno contro l’aborto ne sa qualcosa. Da sempre, continuando la strada aperta da  don Oreste Benzi, i centri di aiuto alla vita e le case famiglia della comunità sostengono le mamme in difficoltà e le aiutano a portare avanti la gravidanza. “Migliaia di bambini destinati ad essere abortiti sono nati grazie al nostro impegno”, ammette Ramonda, “anche don Oreste diceva che l’aborto è un delitto orribile e che questi bambini hanno il diritto di nascere come tutti noi, il punto è lavorare tutti insieme perché questo possa accadere, per esempio dando attuazione alla legge che consente il parto in anonimato e sostenendo le mamme in tutti i modi possibili”, ribadisce, “perché non è possibile che ogni anno nel nostro paese ci siano 96.000 bambini cui si impedisce di nascere”.

Quanto a questo uso “sopra le righe” di Facebook, “si tratta di un mezzo potentissimo e immediato, è un modo per “uscire dalle sacrestie”, ma il problema non è il mezzo ma quello che si dice”, spiega. “ Anche don Oreste andava nelle discoteche, scendeva nelle piazze, ci metteva sempre la faccia ma usava altri toni e altre parole. Bisogna agire concretamente, creare sinergie senza pretendere di giudicare. Il giudizio è solo di Dio”.

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