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martedì 15 ottobre 2024
 
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Don Guido, l'assistente spirituale di Orietta Berti: «Altro che Achille Lauro, è lei la vera anticonformista del Festival di Sanremo»

07/03/2021  «Ci siamo sentiti tutti giorni al telefono. Prima di entrare sul palco mi ha chiesto la benedizione. Semplice ma mai banale, Intelligente, profonda, va sempre oltre le cose. Ama la famiglia ha fede e canta meravigliosamente, senza mai stonare, per questo è trasgressiva. Le sue gaffes? Bisogna saperle decifrare»

Don Guido Colombo.
Don Guido Colombo.

Don Guido, lei è l'assistente spirituale di Orietta Berti …

«Precisamente. E con grande gioia».

Don Guido Colombo, palermitano, 45 anni, sacerdote della Congregazione San Paolo è giornalista, direttore di due periodici, laurea in Teologia e in Filosofia con specializzazione in Filosofia teoretica, consigliere provinciale della congregazione, un corso in Comunicazione sociale alla Pontifica Università della Santa Croce, allievo di Armando Plebe, Nunzio Incardona, Armando Rigobello e Dario Antiseri.

Dal suo curriculum lo si vedrebbe più consigliere spirituale di De André che di un’icona pop come Orietta Berti …

«Può essere vero per chi vede le cose come si presentano soltanto fenomenologicamente. In realtà proprio perché sono “filosofo” cerco di andare oltre e andare un po’ più nel profondo. In Orietta c’è molto di più di quel che si vede. Anche se io e lei possiamo sembrare come un biscotto dolce e uno salato …».

A proposito di biscotti, anche lei ha assaggiato i celeberrimi biscotti di Orietta Berti? A Sanremo glieli hanno commissionati pure Amadeus e Fiorello…

«Certo, io sono uno dei più fortunati a essere fornito di ampia provvista. Glieli fa il fornaio Giordano, suo amico e grande filantropo, che ha il forno in un paese vicino. Lei li manda a tutti i suoi amici. Biscotti secchi, deliziosi, confezionati in dei sacchetti molto carini, con nastri colorati e la sua foto. Il biscotto dell’Orietta, appunto. Da quando è nata la nipotina, Olivia, c’è anche Il biscotto dell’Olivia. Come forse saprà, dal marito Osvaldo ai figli Omar e Otis, in casa sua si chiamano tutti con la “O” iniziale. Anche il suo cane si chiama Otello».

E in che cosa consiste il suo andare nel profondo?

«Avere a che fare con lei significa vivere l’esperienza di una persona molto acuta che legge la realtà con grande spirito critico, intelligenza, capacità interpretativa. Orietta è una persona che sa veicolare attraverso la sua semplicità (che però non è mai banalità) anche i contenuti più belli e più complessi della vita. E’ incredibile come riesca a scioglierli.

Come vi siete conosciuti?

«Durante una crociera sul Nilo. Ero consigliere ecclesiastico della rivista Benessere e sono stato incaricato di tenere delle conferenze sulla nave sulla Chiesa copta e sull’Egitto nella Sacra Scrittura. C’era anche lei perché aveva una rubrica sullo stesso periodico dedicato alle dinamiche familiari. Ricordo quando siamo arrivati sotto la Sfinge, a Giza lei mi ha detto “Guarda don Guido, come ci guarda la signora, e come guarda tutto intorno, se potesse parlare, chissà quante cose direbbe sull’umanità…”».

Da allora vi sentite spesso …

«Una volta alla settimana al telefono. Quando non c’era il Covid anche una volta al mese in presenza, quando lei passa da Roma o io vado a Milano. E poi il 27 dicembre abbiamo un appuntamento fisso: il pranzo delle feste con le due famiglie nella sua casa di Montecchio, il paese di Osvaldo, in provincia di Reggio Emilia. A essere precisi io non sono stato subito il suo assistente spirituale. Prima era seguita dal francescano padre Ugolino, con il quale ha messo a punto tanti progetti per le missioni, soprattutto in Africa. Orietta è sempre stata un’onda d’amore e non ha mai dimenticato da dov’è partita. Dopo la sua morte lei mi ha chiesto di sostituirlo».

A Sanremo vi siete sentiti ogni giorno…

«Mi telefonava da dietro le quinte, un secondo prima di entrare in scena sul palco dell'Ariston, per avere la benedizione».

Che vi dicevate al telefono? Quel che si può dire ovviamente, senza violare il segreto confessionale …

«Certo, non ho nessuna voglia di essere scomunicato. L’ho trovata molto serena ma consapevole di due aspetti: sentiva tutta la responsabilità di rappresentare una tradizione, quella del bel canto all’italiana, che sebbene sia stata la tradizione maggioritaria della musica, oggi è minoranza».

Altro che Nilla Pizzi. Con lei andiamo dietro fino al ‘700, a Rossini, a Bellini,  forse anche prima, alla Camerata dei Bardi …

«Esatto, il secondo aspetto è che in lei c’è anche la consapevolezza, come conseguenza di questo, che la vera contestazione sanremese è stata la sua normalità».

Era lei la vera anticonformista …

«Noi viviamo questo paradosso. Quello che per tanto tempo abbiamo vissuto come normalità, in realtà oggi è la vera trasgressione».

Lo segue il festival di Sanremo?

«Abbastanza. Ma perché c’era lei. Erano tanti anni che non lo vedevo più. Mi è piaciuta Annalisa, la Malika Ayane. E poi lo Stato Sociale, uno dei miei gruppi preferiti. Anche loro leggono la realtà con intelligenza. Sono laureato in filosofia e ho conseguito la specializzazione in filosofia teoretica: il mio sentire e il mio leggere la realtà è sempre in una dimensione metafisica. Cerco di applicare sempre la categoria dell’oltre e in questo trovo Orietta simpaticamente profonda. Lei ha sempre uno sguardo ulteriore sulle cose».

Un esempio?

«Dicevo che con Orietta siamo stati in Egitto. Eravamo sull’imbarcazione che attraversava il Nilo e ci hanno portato a vedere un villaggio nubiano. All’approdo, quando siamo scesi era tutto carino e pittoresco, con una folla di bambini vocianti e festanti, sembrava di stare dentro un presepio. Mentre io le davo il braccio per scendere lei ha guardato tutti questi bambini e ha commentato: “Guarda che bel dipinto che ci hanno preparato”».

Ha detto così? Dipinto?

«Proprio così, dipinto. Poi ha aggiunto: “Ma noi sappiamo che dietro questo dipinto chissà quante storie di miserie e di dolore si celano”. Era vero. Era il tour operator che pagava tutti quei bambini per organizzare una sorta di tableau vivant ad uso e consumo di noi turisti. Nemmeno io ci avevo pensato mi vergogno un poco a dirlo, come tutti ero stato sopraffatto dall’atmosfera gioiosa. Lei no».

Non fa un po’ troppe gaffes? Ha detto che le sarebbe piaciuto duettare con i Naziskin invece che dei Maneskin …

«Quello che la caratterizza è questa sapiente immediatezza e ironia mista a semplicità. La cosa bella di Orietta è che tu non sai mai se ha voluto lanciare un piccolo messaggio o l’ha detta senza pensarci. La cosa migliore di Orietta è il non detto, anzi meglio, il “supposto”».

La sua voce le ha fatto guadagnare il titolo immortale di usignuolo di Cavriago …

«Rimane una delle più belle. E’ migliorata nel tempo. E lei ha una grande serietà nel suo lavoro che la porta a essere assolutamente precisa anche nel mantenimento di questo strumento che è la sua grande ricchezza. Fa i vocalizzi, ogni giorno. La voce è un muscolo, va allenato continuamente, mi ripete sempre. E lei si esercita con grande disciplina, come un’atleta della voce.  Una disciplina legata a una vita di fede. Come diceva Martin Buber, Dio abita dove lo si lascia entrare e lei si è resa uno spazio accogliente nel quale Dio abita».

Il suo anticonformismo è la famiglia …

«Per lei è proprio tutto. Si scioglie in questa famiglia. Anche quando parla e agisce come singolo, veicola tutto il portato della sua vita familiare. Ad Alba abbiamo fatto un incontro. Si intitolava Un capolavoro di famiglia. Voleva dire questo, che anche tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle, bisogna avere piglio artistico per fare in modo che la vita familiare sia sempre bella avvincente, non ci sia mai noia».

La famiglia sostiene la sua fede o il contrario?

«Diciamo che è una reciprocità. Però la concezione della famiglia intesa orizzontalmente come socialità non le viene solo dalla fede ma dai genitori. E’ figlia di un papà molto devoto e da una mamma mangiapreti comunista. Lei in sé coniuga questi due aspetti. L’ultimo suo libro si intitola Tra bandiere rosse e acquasantiere. L’elemento di unione è proprio questa aggregazione familiare. L’aspetto sociale della famiglia l’ha preso dalla tradizione comunista della madre. Quello di fede, intimistica viene dal padre .Infatti la sua famiglia è anche la sua impresa sociale. Fanno tutto loro. Osvaldo non ha lasciato il suo lavoro di fabbro per due anni perché ha detto: se ti va male almeno ci possiamo mantenere. Quando si è reso conto che Orietta aveva raggiunto il successo ha fatto il personal manager della moglie e insieme hanno fondato la casa editrice. Orietta ha un’altra cosa buona: lei si autoproduce: non dipende da major la casa editrice è sua».

Chiudendo su Sanremo che ne pensa delle esibizioni ai limiti del blasfemo di Achille Lauro o della corona di spine in testa a Fiorello?
«Lo ripeto: il vero anticonformismo, la vera trasgressione l’ha espressa Orietta. In qualche modo, il vero Achille Lauro è lei. Quando Dio si manifesta non si manifesta né nell’eclatanza di un tono ma nel mormorio di un vento leggero. E allora io dico: questi personaggi hanno esperito la categoria dell’eclatanza del baccano, della sovraesposizione dei simboli. Invece lei si è presentata nel mormorio di un vento leggero che ce l’ha fatta amare, come la amiamo da tanti anni».

 

 

 

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