Sono passati cinque anni, ma l’entusiasmo
di don Marco Di Matteo
è lo stesso. Eppure, all’inizio, trasferirsi
a Savigliano (21 mila abitanti,
provincia di Cuneo, diocesi
di Torino) non è stato facile. Se qualche
malumore ha accompagnato la decisione
di accorpare quattro parrocchie
e affidarle a tre giovani preti, la scommessa,
alla fine, è stata vinta.
«È stata
la felice congiuntura di due pensieri»,
racconta don Marco: «Da una parte il
desiderio mio e dei miei compagni di
viaggio (don Paolo Perolini e don Roberto
Milanesio) di vivere il ministero in
modo non isolato, ma in fraternità;
dall’altra, quello dell’arcivescovo (allora,
il cardinale Severino Poletto) di creare
una piccola comunità di sacerdoti al
servizio della città».
Don Marco Di Matteo.
«Abitare insieme non serve solo a risparmiare
i costi di canoniche e personale,
ma è il fondamento di un progetto»,
continua Di Matteo, oggi anche vicario
episcopale, 46 anni, dieci dei quali passati
come parroco nella periferia torinese
di Mirafiori Sud. «C’era una bella collaborazione
tra le comunità
dell’unità
pastorale, ma ognuno
operava all’insegna
dell’individualità.
A Savigliano, invece,
le iniziative
nascono insieme
fin dalla loro programmazione
». Certo, doversi moltiplicare
tra più luoghi implica una fatica fisica
maggiore. «La pluralità di impegni
obbliga all’essenzialità»
L’invecchiamento del clero e la crisi
delle vocazioni stanno imponendo un
riassetto della Diocesi di Torino, guidata
da monsignor Cesare Nosiglia. Ci sono
più chiese da amministrare (355) che
preti (260), 62 dei quali già costretti a
dividersi su più comunità. «È una realtà
che in futuro diventerà sempre più drastica,
se non ripensiamo il rapporto con
il territorio. Immaginando magari una
sorta di “parrocchia-capoluogo” in cui
concentrare le celebrazioni, decentrando
Caritas, catechesi, pastorale familiare
e giovanile nelle chiese circostanti. Da affidare
ai laici perché continuino ad animarle,
dando loro linfa vitale».