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sabato 14 settembre 2024
 
 

Don Marco, Cuneo: «A Savigliano ho imparato davvero cosa è una comunità»

23/12/2014 

Sono passati cinque anni, ma l’entusiasmo di don Marco Di Matteo è lo stesso. Eppure, all’inizio, trasferirsi a Savigliano (21 mila abitanti, provincia di Cuneo, diocesi di Torino) non è stato facile. Se qualche malumore ha accompagnato la decisione di accorpare quattro parrocchie e affidarle a tre giovani preti, la scommessa, alla fine, è stata vinta.
«È stata la felice congiuntura di due pensieri», racconta don Marco: «Da una parte il desiderio mio e dei miei compagni di viaggio (don Paolo Perolini e don Roberto Milanesio) di vivere il ministero in modo non isolato, ma in fraternità; dall’altra, quello dell’arcivescovo (allora, il cardinale Severino Poletto) di creare una piccola comunità di sacerdoti al servizio della città».

Don Marco Di Matteo.
Don Marco Di Matteo.

«Abitare insieme non serve solo a risparmiare i costi di canoniche e personale, ma è il fondamento di un progetto», continua Di Matteo, oggi anche vicario episcopale, 46 anni, dieci dei quali passati come parroco nella periferia torinese di Mirafiori Sud. «C’era una bella collaborazione tra le comunità dell’unità pastorale, ma ognuno operava all’insegna dell’individualità.
A Savigliano, invece, le iniziative nascono insieme fin dalla loro programmazione ». Certo, doversi moltiplicare tra più luoghi implica una fatica fisica maggiore. «La pluralità di impegni obbliga all’essenzialità»

L’invecchiamento del clero e la crisi delle vocazioni stanno imponendo un riassetto della Diocesi di Torino, guidata da monsignor Cesare Nosiglia. Ci sono più chiese da amministrare (355) che preti (260), 62 dei quali già costretti a dividersi su più comunità. «È una realtà che in futuro diventerà sempre più drastica, se non ripensiamo il rapporto con il territorio. Immaginando magari una sorta di “parrocchia-capoluogo” in cui concentrare le celebrazioni, decentrando Caritas, catechesi, pastorale familiare e giovanile nelle chiese circostanti. Da affidare ai laici perché continuino ad animarle, dando loro linfa vitale».

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