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martedì 06 giugno 2023
 
 

Don Michele Falabretti. Giocare per credere, la sfida educativa

16/06/2016  Valori umani e annuncio evangelico: parla il responsabile del Servizio di pastorale giovanile della Cei: "Non ci interessa perché le famiglie ci portano i ragazzi. So che lo stare con loro è un’opportunità da sfruttare al meglio".

Lo scorso anno oltre due milioni di ragazzi coinvolti, 600 mila solo in Lombardia, «anche se è impossibile sapere esattamente quanti passino fra campi scuola, oratori, gruppi estivi», precisa don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile della Cei. «Al di là dei numeri, comunque, questa è un’estate molto impegnativa, piena di cose, anche per l’appuntamento di Cracovia a fine luglio con la Giornata mondiale della gioventù».
Ma prima e dopo, l’estate di bambini e adolescenti è accompagnata da tante proposte che, come ogni anno, «rispondono a due bisogni: innanzitutto una risposta alle difficoltà delle famiglie. L’Italia è rimasto uno dei pochissimi Paesi in cui le scuole chiudono d’estate per un periodo prolungato e questo crea il problema di cosa far fare ai ragazzi mentre i genitori lavorano. Dall’altra parte, il valore è riconoscere che il tempo libero dagli impegni istituzionali può diventare un tempo preziosissimo per costruire relazioni significative. Questa è una intuizione che le parrocchie italiane portano avanti da sempre».
E i primi ad accorgersi di questa attenzione alle relazioni sono proprio i ragazzi. Che spesso, al semplice momento di svago fine a sé stesso, preferiscono passare del tempo con gli amici e gli educatori della parrocchia. «ll venire in oratorio può anche essere un parcheggio» sottolinea don Falabretti, «ma, lo dico per tutte le attività, non mi interessa mai perché ci portano i ragazzi. So che lo stare con loro è un’opportunità da sfruttare al meglio. Per me Chiesa, per me comunità, per me educatore, per me prete stare con i ragazzi significa far fare loro un’esperienza di vita di comunità, costruire delle amicizie e, soprattutto, educarli a un tipo di rapporto improntato alla fraternità, all’incontro, e non all’opportunismo come a volte capita».
L’estate con i ragazzi allora non diventa «una bella predica per dire loro di fare i bravi, ma un momento in cui possono sperimentare che la vita fraterna è una vita più bella, dove si può essere sé stessi, dove ci si può esprimere e dove, addirittura, si può dire qualcosa di Dio. Questo è impagabile ». Non si tratta di un di più nelle attività, di cercare formule originali, di aggiungere nuove cose da fare.
Don Falabretti sottolinea che il valore aggiunto «è la qualità dei legami e delle amicizie. Il “di più” è l’autenticità dei rapporti. Che sia il gruppo di canottaggio che fa 15 giorni lungo i fiumi o il “Grest” (gruppo estivo, ndr) fatto in inglese per imparare la lingua, l’importante è l’obiettivo. Ci sono tanti strumenti aggregativi in cui però conta molto l’attività e lo stare insieme diventa relativo. Per noi invece, in parrocchia, lo stare insieme è lo strumento per far crescere i ragazzi. Lo stare insieme, alla fine, è ciò che caratterizza la fede».
Non ci sono direttive nazionali che organizzano l’estate dei ragazzi, ogni diocesi, parrocchia, gruppo si organizza. I Salesiani, l’Anspi, le associazioni lavorano moltissimo. Mettendosi in rete, come accade per tutte e dieci le diocesi della Lombardia. Condividendo esperienze come in Veneto o in Puglia. Ma sapendo che «quello che il Vangelo porta nell’estate dei bambini e dei ragazzi non è una bella lezione in più». E se, come spesso accade, i ragazzi che hanno provato i Grest, i campi scuola, gli oratori estivi vogliono tornarci ancora «è perché», conclude don Michele Falabretti, «sentono la verità dei rapporti, la forza delle relazioni. Sentono che giocare un’esperienza sull’essere persone che cercano una umanità è molto più coinvolgente che cercare un’esperienza in cui il divertimento è l’obiettivo finale».

 
 
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