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Don Peppe Diana e padre Hamel: da loro fiorisca «un supplemento di anima»

19/03/2019  L’eroicità del Vangelo vissuto. Chi sacrifica sé stesso per fede ci insegna a orientare la nostra esistenza, specie in un’epoca come questa, segnata dal vuoto di valori

«Un martire della Terra del Lavoro»: così, già nel 2015, si era espresso papa Francesco su don Peppe Diana, il prete scout di Casal di Principe ucciso il 19 marzo di 25 anni fa. E già un anno prima ne aveva pubblicamente baciato la stola ricevuta in dono da don Luigi Ciotti, a segno dell’amore della Chiesa per un prete di periferia, un uomo di troppo per la camorra, perché insegnava con l’esempio di vita a rompere il muro di omertà e quiescenza su cui fa leva la criminalità organizzata.

A questa figura, di forza tuttora dirompente, abbiamo voluto dedicare la copertina e una serie di servizi per sottolinearne l’eredità nel contesto odierno. Nove giorni prima di quest’anniversario, si è chiusa a Rouen, in Normandia, l’istruzione del riconoscimento del martirio di un altro sacerdote, padre Jacques Hamel, sgozzato mentre celebrava Messa il 26 luglio 2016 da due giovani estremisti dell’Isis. È terminata la fase diocesana di beatificazione. Il dossier arriva a Roma per il vaglio, in aprile, della Congregazione delle cause dei santi e, dopo, sulla scrivania di papa Francesco, che, di Hamel, a Santa Marta, ha detto: «È un martire! E i martiri sono beati».

Il postulatore, padre Paul Vigouroux, ha spiegato quanto il religioso ucciso fosse in sintonia con la Chiesa degli umili predicata da Bergoglio e che la via verso la santità per lui era cominciata ben prima della fine sanguinosa: «Viveva la povertà evangelica. Il suo cuore era altrove. Era con Gesù. Una figura di grande attualità nel suo essere parroco di una comunità ad alta densità di popolazione musulmana». Come lo sono tante comunità anche in Italia e nel resto d’Europa. Mentre lo aggredivano sull’altare Hamel urlò: «Vattene Satana», dando un nome al male, non al suo assassino, additando il peccato, non il peccatore.

Abbiamo bisogno di riferimenti così, di esistenze alle quali guardare per orientare la nostra in un’epoca in cui i messaggi che arrivano sono distorcenti e superficiali, capaci di spacciare per forza e sicurezza ciò che è solo paura, debolezza, odio dissennato e inconcludente. La fede autentica può smuovere il mondo e non si spegne, nonostante tutto. Neppure gli scandali, quelli purtroppo veri e quelli montati ad arte, la soffocano. Anzi, nei momenti più duri pare ravvivarsi. Secondo i dati dell’Annuarium Statisticum Ecclesiae 2017, diffusi in questi giorni, su una popolazione mondiale di 7 miliardi e 408 milioni di persone, i cattolici battezzati sono 1.313 milioni, pari al 17,7% del totale. L’1,1% in più rispetto all’anno precedente. L’Europa è il solo continente con un trend quasi nullo. Eppure proprio nei Paesi europei il dilagare dei vacui sovranismi, di politiche imbelli di fronte ai problemi reali della gente, capaci solo di agitare e cavalcare gli umori più effimeri delle folle in vista di consensi elettorali e poltrone, c’è bisogno di una riscossa morale, dello sprone che solo un Vangelo vissuto può dare.

Come non ripensare alle indimenticabili parole di Paolo VI sulla necessità di un «supplemento di anima» nel suo saluto all’Angelus del 16 marzo 1975, un altro marzo come quello odierno agitato da pesanti incertezze. Papa Montini lodò e incoraggiò quanti contribuivano «allo sforzo di dare al mondo moderno il “supplemento di anima”... Quanto è bello! Voi vi distinguete dall’agitato e sofferente nostro consorzio sociale non per segregarvi, ma immergervi in esso con una carica nuova di bontà e di spiritualità, che vuole associarlo nella nostra vocazione alla professione e alla salvezza cristiana».

Don Peppe Diana e la caduta di Gomorra, di Luigi Ferraiuolo , su Sanpaolostore.it

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