Diego Velázquez, Cristo crocifisso, 1631, Madrid, Museo del Prado. In alto e in copertina: Crocifissione, Giambattista Tiepolo, Chiesa di San Martino, Burano.
A fasi alterne siamo raggiunti da pubblicazioni che mettono in dubbio la storicità della vicenda di Gesù e quindi della nostra fede. Dopo il libro di Corrado Augias e Giovanni Filoramo, intitolato Il romanzo dei Vangeli (Einaudi 2019) è stato tradotto in italiano quello di Fernando Bernejo-Rubio, L’invenzione di Gesù di Nazareth. Storia e finzione (Bollati Boringhieri 2021, ed. originale 2018). La loro lettura può essere stimolante, ma le loro prospettive non ci paiono convincenti. Di fronte al Nuovo Testamento, non siamo posti al cospetto di una “letteratura fantastica”, che forse prevale nel genere apocalittico, ma non nei Vangeli e nei testi di San Paolo.
Il metodo della critica storica, troppo spesso ignorato, ci consegna la certezza che abbiamo dei criteri di storicità. Possiamo e dobbiamo applicarli alla vicenda del Nazareno e sono particolarmente significativi per noi in quanto ci mostrano la dimensione profondamente e strutturalmente storica della rivelazione di Dio in Cristo. Tra l’altro proprio la scienza storica rigorosa ci dice che i Vangeli e le narrazioni neotestamentarie, così come le abbiamo attestate nei testi canonici, sono preceduti da micro-unità letterarie (trasmesse dapprima oralmente) che comprendono i detti di Gesù, un probabile Matteo aramaico ecc., e tra questi proprio i racconti della passione, che in questi giorni siamo chiamati ad ascoltare e meditare nella liturgia.
Per quanto suggestiva, la tentazione gnostica (cioé di quella escludere la realtà del'incarnazione) presente nel Protovangelo di Giacomo (seconda metà del II secolo), non ci appartiene. A proposito della passione di Cristo, bene ha detto, pur dal versante di un non credente, Fabrizio De Andrè, nell’album La buona novella, proprio quel Fabrizio De Andrè che pure a quell’apocrifo dal sapore gnostico s'ispira largamente. È il dialogo fra le tre madri (quelle dei due ladroni Tito e Dimaco e quella di Gesù). Le due dicono a Maria: «Con troppe lacrime piangi Maria / Solo l'immagine d'un'agonia / Sai che alla vita nel terzo giorno / Il figlio tuo farà ritorno / Lascia noi piangere un po' più forte / Chi non risorgerà più dalla morte». La risposta è decisa e perentoria: «Piango di lui ciò che mi è tolto / Le braccia magre la fronte il volto / Ogni sua vita che vive ancora / Che vedo spegnersi ora per ora / Figlio nel sangue figlio nel cuore / E chi ti chiama "Nostro Signore" / Nella fatica del tuo sorriso / Cerca un ritaglio di Paradiso / Per me sei figlio vita morente / Ti portò cieco questo mio ventre / Come nel grembo e adesso in croce / Ti chiama amore questa mia voce / Non fossi stato figlio di Dio / T'avrei ancora per figlio mio». Non si tratta di una fiction, ma di una reale, sofferta, carnale passione. Del resto, per quanto riguarda il duplice processo a Gesù, nonostante abbiamo notizia di tanti crocifissi dai romani, non risulta nessun resoconto così dettagliato di un simile evento.
In conclusione: quella che una certa cultura laicista, ma non autenticamente laica, altrimenti farebbe proprio il metodo storico-critico, chiama romanzo o finzione è interpretazione. Per questo non abbiamo un unico Vangelo canonico, ma quattro prospettive diverse su una figura così complessa ed enigmatica quale quella di Gesù. Un esempio fra tanti possibili. L’episodio della cacciata dei mercanti dal tempio (una rappresentazione iconografica fra tante quella di Giotto agli Scrovegni) è raccontata in tutti e quattro i vangeli canonici, quindi, per la sua storicità, gode del criterio della molteplice attestazione (= quando un racconto si trova in testi diversi gli deve comunque essere riconosciuto un nucleo di storicità). Solo che i sinottici (Marco, Matteo e Luca) lo situano nell’imminenza della passione, anzi diventa uno dei motivi che la determinano, il IV vangelo (Giovanni) lo inserisce all’inizio della missione pubblica di Gesù. Siccome più che alla cronologia storiografica siamo interessati al senso, dobbiamo ritenere che quella dei sinottici è la collocazione più attendibile, mentre l’autore del IV vangelo vuole dirci che questo gesto esprime il nocciolo dell’insegnamento del Signore: non si può confondere il tempio col mercato e per questo è collocato all’inizio del suo percorso di evangelizzazione. Siccome entrambe le interpretazioni sono nel canone, dobbiamo ritenere che siano allo stesso modo Parola di Dio e che, interpretandolo alla luce dello Spirito santo, ci consegnano un evento che non possiamo con troppa disinvoltura ritenere finto o romanzato.
Il cristiano non è persona che si lascia imbambolare da fiction che lo portino ad evadere dall’esistenza concreta, sa bene e studia e si aggiorna per questo, e comprende e percepisce che la propria fede ha radici innervate nella storia di Gesù di Nazareth, della Chiesa e del mondo.