don Marco Pozza
“Certo quanto accaduto, se è andata come dicono i giornali, è un fatto sconvolgente. Un fatto che, come sacerdote e uomo, lascia in me, anzitutto, un senso di delusione grande, perché una certa Chiesa ha tradito ancora la missione di Cristo. Ma spero anche che i miei poveri mi insegnino la differenza tra debolezza e perversione, tra il racconto e la realtà, tra miseria e desiderio. Qualora queste notizie fossero verità, tra lo sbaglio di un singolo e lo stile di una collettività”.
Davanti al silenzio imbarazzato e a tante bocche cucite, a parlare (oltre che a scrivere nel suo blog “Sulla strada di Emmaus”) è don Marco Pozza, scrittore, teologo, cappellano del carcere di Padova, e confratello di don Andrea Contin, l’ex-parroco della diocesi padovana che secondo la denuncia dell’amante avrebbe trasformato la canonica in casa a luci rosse, luogo di orge e prostituzione.
Che sentimenti prevalgono in voi sacerdoti della diocesi di Padova in questi giorni?
“Certo che oggi c’è tristezza nella nostra diocesi. Il sentire comune di noi sacerdoti è un forte disagio, perché un prete che tradisce, se è vero quanto si racconta, tradisce un’intera famiglia. In un’ottica di appartenenza, è come se a tradire fosse stato nostro fratello. Tutti noi ci sentiamo debitori verso chi ci guarda con profonda delusione. Ci sentiamo corresponsabili di aver provocato nella gente scandalo e disgusto, che ci viene giustamente riversato addosso. Dovremmo, comunque, credere che non sarà questa pagina nera ad arrestare la grazia del Cielo”.
Cioè?
“Che il Signore ci sta dicendo qualcosa anche attraverso una vicenda sconcertante come questa. La fragilità e il fallimento è una possibilità che sta dentro l’esistenza anche di un sacerdote, ma non per questo Dio ci abbandonerà. Ora è il momento del disgusto. Domani della redenzione, per vie complicate, zig-zag misteriosi di Dio che non possiamo intuire”.
Che altro le ha lasciato personalmente questa vicenda?
“una presunta storia “a luci rosse” è sempre un’occasione ghiotta per affaccendarsi al punto tale da non occuparsi dei propri peccati. Ma detto questo, è difficile dar torto alla gente quando dice che si tratta di fatti sconvolgenti. E noi dobbiamo condannare con tutte le forze, non tanto la debolezza che è di tutti, ma quella debolezza che diventa perversione. Ma c’è anche qualcos’altro che provoca in me un altro sentimento”.
Che altro?
“C’è la coincidenza cronologica che ha messo assieme questo fatto e il Natale. Voglio dire: oggi che la liturgia cala le serrande al Natale, vivo l'incognita di un dubbio: come sarebbe stato il mio Natale se non avessi accettato la compagnia-amica di quel racconto che, soprattutto questa volta, sembrava scritto apposta per me, per la fragile bellezza della mia chiesa diocesana, per quei poveri che cercano Lui nel bisogno di sentirsi dire che non sono più soli? La gente dirà: “Era cosa migliore se non fosse accaduto”. Come darle torto? Siccome, però, è accaduto, allora il mio Natale è stato ancor più una ‘lieta novella’".
Si spieghi meglio…
“Voglio dire che quella del Natale è una storia povera. Una storia d'amara tristezza: quando Cristo nacque, la gente manco s'accorse che era nato. Quando Cristo muore, sotto la Croce i soldati giocano a dadi: all'inizio fu l'indifferenza, alla fine fu la ludopatia a confondere le menti. A sconvolgere fu che, in questo turbine d'umanità, Cristo nacque. Nasce, s'intestardirà a nascere. Nonostante noi preti, grazie a noi preti, mettendosi di traverso ai nostri sogni di preti, sempre poco scandalosi a specchiarli nei suoi abissi. Quindi nessuna storia, tra quelle che vorranno mettersi di traverso sulla strada, riuscirà ad arrestare la grazia del Cielo. Di più: laddove il peccato sembra esagerato, in misura decuplicata si manifesterà il formato dell'Amore. Basta leggere la prima pagina del Vangelo di Matteo per non perdere la speranza: chi si deciderà a seguir Gesù, dopo il rigurgito iniziale, farà il ripasso nella memoria di com'era la sua genealogia. A leggerla a-luci-rosse, da un punto di vista carnale, è spaventosa anche solo ad immaginarla: è una storia di incestuosi, di adulteri, di prostituzioni, di omicidi”.
Cioè che c’è una speranza nonostante questa umanità disastrata, fragile, che fa fatica, come dice lei “a reggere il passo dei sogni di Dio?
“Certo. Forse questa dura esperienza vuole insegnarci che bisogna, per esempio, volerci un po’ più bene tra noi sacerdoti. Il Signore ci chiede, forse, di reinventarci come ministri anche il modo di viere in parrocchia e tra le parrocchie. Che la solitudine in cui spesso vivono i confratelli in parrocchia non è cosa buona. Questo fatto gravissimo, se vero, ci ha permesso di scoprirci uomini”.
E in carcere che commenti si sono fatti? Quali reazioni tra i “suoi” detenuti?
"Silenzio rispettoso e incredulità di chi ha conosciuto un altro don Andrea. Il carcere s’è dimostrato ancora una volta un luogo più sano della piazza del paese. Non ho sentito un solo commento offensivo nei confronti della Chiesa o del Papa o del vescovo. E leggo questo silenzio come un affetto dei detenuti nei confronti della diocesi e del Vescovo Cipolla che s’è fatto vicino al carcere, che lo ha visitato appena giunto a Padova”.