«L'effetto della benedizione sarà di incoraggiamento e consolazione per chi crede in un Dio d'amore e misericordia; per chi non crede sarà certo meno preoccupante dello sventolare di una bandiera nera».
Non vuole alzare i toni della polemica ma non rinuncia a stigmatizzare un’ideologia prevaricatoria don Raffaele Buono, direttore dell’ufficio diocesano di Bologna per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole.
- Don Raffaele, sono frequenti in diocesi gli episodi di questo tipo?
«Dipende dalle situazioni e dal rapporto delle scuole col territorio. In alcuni istituti ci fanno sapere che la benedizione è gradita, in altri no. Noi rispettiamo comunque le decisioni delle scuole. In questo caso però la stragrande maggioranza si è espressa a favore».
- Hanno annunciato un ricorso…
«Mi auguro che si tratti di una presa di posizione legata all’enfasi del momento, e che poi non sia portata avanti. Il ricorso è legittimo, ma andare contro una maggioranza così ampia con motivazioni prettamente ideologiche non sarebbe di certo un bell’esempio di democrazia».
- Lei ha usato un’immagine molto forte, evocando lo spettro della bandiera nera dell’Isis…
«Guardi, l’ho fatto per portare la questione su un piano molto concreto. La benedizione pasquale non cambia il colore dei muri della scuola, né rende buoni quelli che vi partecipano ed eventualmente cattivi quelli che decidono di farne a meno. E’ una preghiera, in un luogo dove questi bambini e questi ragazzi passano molto tempo della loro giornata, e un tempo importante. Tutto qui. Penso che questi signori che si battono per le ragioni della laicità dovrebbero preoccuparsi per altre espressioni religiose, perché ci sono paesi in cui non è così facile esprimere la propria laicità. Da noi è facilissimo».
- Rivendicano anche le ragioni della scuola multietnica e degli alunni di altre religioni, che si sentirebbero a disagio...
«E’ la stessa polemica pretestuosa di chi non vuole il Presepe. Credo però che ai fini di una autentica integrazione sia un vero peccato non introdurre questi futuri cittadini alla conoscenza di una parte così importante della tradizione del nostro paese. Che è anche il loro paese».