«Quando ho trovato la mail dal Vaticano che mi nominava “missionario della misericordia” mi è venuto un tuffo al cuore. E pensare che subito prima era venuto a trovarmi un mio amico gesuita e ne avevo approfittato per confessarmi con lui…».
Il regalo per i suoi 50 anni, don Roberto Ponti, sacerdote paolino e missionario nella Repubblica Democratica del Congo da 5 anni, lo ha ricevuto direttamente da papa Francesco nella sua cassetta di posta elettronica a Kinshasa, subito dopo aver congedato l’amico gesuita. Cose che capitano, segni dall’alto, propellente prezioso per un sacerdote, chiamato per vocazione a testimoniare quello stesso Signore di cui, pur indegnamente, impartisce il perdono.
Don Roberto, originario di Lodi, è uno dei 1.071 sacerdoti scelti in tutto il mondo che lo scorso 10 febbraio, mercoledì delle Ceneri, hanno ricevuto il mandato di “missionario della misericordia”. Sono confessori, «segno vivo di come il Padre accoglie quanti sono in ricerca del suo perdono, artefici presso tutti di un incontro carico di umanità, sorgente di liberazione per superare gli ostacoli e per riprendere la vita nuova del Battesimo», come ha scritto il Pontefice nella Bolla di indizione del Giubileo. “Truppe scelte” per far sentire ai fedeli, molti dei quali magari allontanatisi dai sacramenti, l’amore di un Dio che è prima di tutto Padre. Sacerdoti, oltretutto, con la facoltà di confessare anche i peccati che si riferiscono a casi gravi che necessitano ordinariamente del permesso della Santa Sede per essere assolti sacramentalmente. Tra questi la profanazione delle specie consacrate, la violazione del sigillo sacramentale (che si verifica quando un sacerdote rivela a terzi il contenuto di una confessione), la consacrazione illecita (cioè senza mandato del Papa) di un vescovo da parte di un altro vescovo e qualche altro ancora.
Una grazia, quella ricevuta da don Roberto, che non tarda a dare i suoi frutti: «Pochi giorni dopo mi ha contattato per mail una ragazza africana, che mi ha chiesto se poteva confessarsi online», racconta. «Alla mia risposta negativa (visto che non è possibile confessarsi “a distanza”, ndr) è venuta a trovarmi in convento e ha vissuto il sacramento della Riconciliazione con un pianto liberatorio».
LA SCINTILLA DELLA VOCAZIONE
Come nasce la vocazione di don Roberto alla vita religiosa, che lo ha portato nella Società San Paolo – la congregazione che in tutto il mondo gestisce molte librerie religiose e l’edizione di libri (tra cui, in Italia, le Edizioni San Paolo) e riviste (nel nostro Paese edita anche Credere e Famiglia Cristiana) – e, da qualche anno, in Congo? «Sono nato a Lodi», spiega il consacrato, «una città lombarda che gode di una pastorale giovanile molto ricca. Fin da bambino facevo il chierichetto in parrocchia e così ho potuto usufruire subito della ricca offerta di ritiri organizzati nella mia diocesi».
Fin dall’età di 8 anni il piccolo Roberto frequenta gli incontri vocazionali a cui il suo parroco lo invita. Negli anni delle scuole medie partecipa anche ai campi con i seminaristi diocesani, ma decide, prima di andare al liceo scientifico, di non entrare nel seminario minore. «Ero forse un po’ timido e comunque non lo sentivo un ambiente adatto a me». Durante gli anni del liceo la sua ricerca vocazionale rallenta, pur restando il ragazzo impegnato in parrocchia, soprattutto nella diffusione della buona stampa, piccolo germe di quell’apostolato che lo porterà, dopo un piccolo tempo di frequenza della Facoltà di ingegneria, a scegliere di entrare proprio nei Paolini, gli “apostoli della buona stampa”.
«Un nuovo coadiutore appena arrivato in parrocchia, don Giampiero, ha colto nei miei occhi la scintilla della vocazione, ma mi era chiaro a quel punto, ormai avevo 20 anni, che la mia era una vocazione alla vita religiosa e non a quella diocesana. Ho scelto la Società San Paolo perché, anche attraverso le nostre consorelle Figlie di San Paolo che a Lodi gestiscono una libreria, è una congregazione che esprime la missione dell’evangelizzazione con i mezzi della comunicazione. Era qualcosa che sentivo congeniale a me perché ha un unicum: richiede allo stesso tempo professionalità e cuore, elementi che nella nostra vocazione danno respiro autentico alla vita fraterna e a quella missionaria».
DESTINAZIONE: CONGO
Dopo un periodo di incontri per giovani in ricerca a Cinisello Balsamo, nel Milanese, presso la locale comunità paolina, decide di affidare la sua vita al Signore. «La mia famiglia lo ha saputo solo quando ormai avevo deciso di entrare, ma avevano già intuito che sotto qualcosa covava...». Dopo gli anni di formazione ad Alba e a Roma, dove scopre sempre più la bellezza e varietà della Famiglia paolina, una volta ordinato sacerdote don Roberto fa una significativa esperienza pastorale nella parrocchia Gesù Buon Pastore di Roma, condotta proprio dai Paolini, per essere destinato poi al settore della formazione della sua congregazione. Dopo qualche anno il superiore generale decide di mandarlo missionario nella Repubblica Democratica del Congo. «Pensarmi in un altro continente non era fuori dai miei sogni», precisa sorridendo. «Avevo sempre amato viaggiare, anche se non mi aspettavo certo di andare un giorno addirittura in Africa». Il mandato che gli viene affidato è di formare i tanti giovani congolesi che chiedono di diventare Paolini. «Dopo la telefonata del superiore generale, ho chiamato subito mia nipote, che all’epoca lavorava in Tanzania. Lei mi ha incoraggiato, sostenendo che in Africa c’è più libertà e spazio alla creatività che nel Vecchio continente. Ho affidato mio papà, che all’epoca non stava tanto bene, al buon Dio e sono partito».
In Congo don Ponti ha ritrovato antichi sapori. «Lì si vive con naturalezza ciò che da noi in Occidente abbiamo perso: le relazioni. I ritmi alti e la ricchezza hanno tolto vita alle nostre famiglie. Rischiamo di essere asettici, isolati, dimenticandoci dell’essenziale. In Congo si perde forse qualcosa come efficienza. Tutto lì è un po’ provvisorio e anche le risorse per evangelizzare con i mezzi di comunicazione sono limitate, ma in cambio si coglie l’essenza delle cose: l’amicizia, la solidarietà e soprattutto la dimensione della fede, che qui è davvero forte. In Africa la dimensione religiosa è il cuore stesso della vita».
La giornata di don Roberto, che ora è superiore regionale di tutte le comunità paoline congolesi, si dipana tra la supervisione delle tante attività dei confratelli – tipografia, redazione e diffusione delle riviste e dei libri, siti internet – e il ruolo di animatore di tanti giovani. E, per un anno, sarà impegnato anche nel suo incarico di “missionario della misericordia”, che intende svolgere in modo paolino: «Confesserò, certo, ma ci concentreremo anche sulla pubblicazione di qualche sussidio che spieghi in modo semplice ai nostri fratelli congolesi la straordinaria capacità di guarire del sacramento della Riconciliazione».
CHI LO SOSTIENE
OPERA APOSTOLICA
Fra i vari organismi che aiutano don Roberto Ponti, ve n’è anche uno particolarmente attuale in questo Anno della misericordia. Si tratta di Opera apostolica, un’iniziativa sorta nell’ambito di Missio, la Fondazione della Conferenza episcopale italiana che promuove le missioni. Opera apostolica raccoglie fondi per acquistare e inviare ai missionari gli oggetti sacri necessari per amministrare i sacramenti: stole, casule, pissidi, calici, astucci per gli oli santi, ecc. Don Roberto stesso ha potuto godere di recente proprio del dono di un calice, di una pisside e di un set di ampolline per la Messa.
Per contribuire si possono inviare fondi al conto corrente postale n. 63062855, intestato a Missio, Pontificie opere missionarie – Via Aurelia 796 – 00165 ROMA, o telefonare al numero: 06.66410314.