Nella sua trincea di Bagheria, don
Francesco Michele Stabile, 75 anni,
è il simbolo di una Chiesa impegnata
contro la mafia e al fianco
dei poveri. Nei primi anni ’80,
ai tempi in cui era vicario episcopale
del cardinale Pappalardo, il sacerdote
elaborò il primo storico documento antimafia
delle comunità ecclesiastiche di
base.
Nel 1983, invece, a distanza di quasi
un anno dall’uccisione del segretario
comunista Pio La Torre, don Stabile fu
uno dei promotori della celebre marcia
popolare organizzata nel cosiddetto
“triangolo della morte” tra Bagheria, Altavilla
e Casteldaccia, teatro della seconda
guerra di mafia.
Oggi, dopo 40 anni di lotte, padre
Stabile è parroco di San Giovanni Bosco
a Bagheria ed è anche uno stimato storico
della Chiesa, fiero di avere «trasformato
uno scantinato
in un luogo di accoglienza
».
Don Francesco Michele Stabile.
La sua giornata
inizia alle 7 del
mattino. Il lunedì
va subito a incoraggiare
le donne impegnate
nel corso
di pittura su stoffa. Le stesse che, il martedì
e il venerdì, sono impegnate nei laboratori
“libera età” e nel mercatino.
Alcune
ore della mattina del mercoledì sono
dedicate all’insegnamento di Storia
della Chiesa e Storia delle dottrine ecclesiologiche
nella Facoltà teologica di
Palermo, mentre, dalle 9 alle 12 di giovedì,
padre Stabile si reca nel centro di raccolta
della Caritas.
Negli altri giorni, il parroco di Bagheria
trova anche il tempo per incontrare il clero e per registrare negli
studi di TeleOne un atteso commento
al Vangelo.
Ogni giorno padre Stabile
pranza a casa del fratello, pensionato.
Una pausa per ricaricare le energie prima
delle attività pomeridiane, che spaziano
dal catechismo al doposcuola per
i ragazzi, dagli incontri con le associazioni
alla lettura dei testi conciliari.
Le celebrazioni liturgiche occupano
non solo le giornate di sabato e domenica,
ma anche i pomeriggi di mercoledì
e giovedì. L’attivismo di don Stabile
non si ferma qui e si estende anche alle
serate dei giorni feriali, quando incontra
i giovani lavoratori e organizza non
soltanto preghiere di gruppo ma anche
concerti rock.
Il racconto della sua vita quotidiana
da sacerdote si conclude con una considerazione
e un auspicio: «Sono contento
di essere amato anche dai non credenti,
che mi considerano un punto di
riferimento e di approdo. La mia sfida è
l’etica della responsabilità, affinché i
parrocchiani passino dalla mera devozione
al senso di una comunità impegnata
nel sociale».