A fine giugno, tremila ragazzi e ragazze delle medie, accompagnati da 500 educatori, daranno vita, sull’Area Expo alle porte di Milano, alla seconda edizione di Oralimpics, le “Olimpiadi degli oratori”: iniziativa che, al suo debutto lo scorso anno, ha raccolto grande favore e viene ora replicata, promossa in tandem dalla Fom (Federazione oratori milanesi) e dal Csi (Centro sportivo italiano).
Per tre giorni, preadolescenti di tutta la diocesi si cimenteranno in partite e attività sportive individuali e di squadra, dando vita a un evento dove l’agonismo e la voglia di vincere andranno a braccetto col desiderio di vivere una festa insieme e di gustare la bellezza dell’amicizia.
«L’intuizione di base», spiega don Stefano Guidi, direttore della Fom, «consiste nella volontà di far vivere ai ragazzi l’emozione di abitare in un villaggio olimpico e di sfidarsi coi coetanei nelle varie discipline: un modo per tradurre nel concreto il rapporto tra oratorio e sport, centrale nell’esperienza educativa che proponiamo».
Alla guida della Fom, don Stefano Guidi — classe 1980, originario di Marnate (Va), prete dal 2007 — è arrivato nel settembre scorso. In precedenza ha operato tra i giovani a Sesto Calende per tre anni e per i successivi sette è stato responsabile della pastorale giovanile della Comunità pastorale Casa di Betania di Agrate Brianza, Omate e Caponago. Affianca nella pastorale giovanile diocesana don Massimo Pirovano, responsabile del Servizio per i giovani e l’università. Alla vigilia di Oralimpics, Credere lo ha incontrato.
Don Stefano, quanto ha contato nella sua formazione l’esperienza in oratorio?
«Molto. In oratorio ho trovato un contesto di amicizia e ho potuto sviluppare relazioni umane che durano ancora oggi; inoltre ho incontrato un mondo adulto di riferimento, col quale confrontarmi e dal quale imparare. Un mondo di adulti esemplari nella quotidianità per la capacità di mettersi a disposizione degli altri e di servire gratuitamente. Insomma, ho fatto esperienza di quella “normalità del bene” di cui ha recentemente parlato anche il nostro arcivescovo».
L’oratorio c’entra anche nella scelta della vocazione sacerdotale?
«Sì, perché proprio in oratorio ho potuto incontrare alcune figure di sacerdoti (don Peppino, don Angelo…) che mi hanno colpito per lo stile di grande vicinanza alle persone e, nello stesso tempo, di estrema semplicità. Anche oggi l’oratorio permette a un prete di avvicinarsi, nella quotidianità dei rapporti, tanto ai ragazzi quanto ai genitori e alle famiglie, praticando uno stile di accompagnamento che viene vissuto, prima ancora di esser detto».
Sfogliando l’album dei ricordi, quali i più belli?
«Sarebbero tanti, ne cito solo due. Il primo: il mese in missione, nel 2015, con una quindicina di giovani di Agrate; siamo andati ad Haiti, dove operano alcune suore originarie del paese e alcuni fidei donum ambrosiani. La seconda esperienza, bellissima: diversi dei giovani cresciuti in oratorio si stanno avviando al matrimonio e mi chiedono di celebrare la Messa di nozze, il che dice un legame profondo formatosi nel tempo».
L’oratorio di oggi non è più, per molti aspetti, quello nel quale ha messo piede lei da ragazzo, non foss’altro che per la presenza crescente di ragazzi e ragazze provenienti da altri Paesi. Che ruolo può giocare l’oratorio sul versante dell’integrazione?
«Più che di integrazione (parola che sottende l’idea che una persona, per inserirsi in una comunità, debba rinunciare a qualcosa di sé) parlerei di “contaminazione positiva”. Nel concreto significa creare una vera accoglienza, in cui ciascuno è disponibile a lasciarsi cambiare dall’altro. I nostri ragazzi vivono già questo con immediatezza, ma dovrebbe trovare un mondo di adulti che confermano questo approccio positivo. Per il fatto di essere un ambiente educativo alla portata di tutti, senza barriere di ingresso, l’oratorio favorisce l’esperienza elementare dell’incontro, anche col diverso. Nella nostra diocesi esistono oratori che vivono in contesti dove la diversità etnica è fortissima, eppure rappresentano autentici laboratori d’incontro e accoglienza, dove l’elemento religioso non crea conflitto. Beninteso: non si evita di pregare, ma si fa in modo che la diversità nella preghiera non limiti l’incontro con l’altro».
Oratorio e sport: un rapporto fortissimo, ma che talvolta crea tensioni tra polisportive che puntano su un agonismo spinto ed educatori che si spendono per la possibilità di un’esperienza sportiva per tutti…
«Nella comunità pastorale di Agrate sono attive ben tre società sportive: ho potuto quindi toccare con mano, in passato, l’impegno straordinario, spesso nascosto, condotto da tanti volontari a vari livelli. Aggiungo che gli oratori hanno voluto accogliere lo sport fino dall’inizio, perché è uno strumento che crea rapporti e permette ai più piccoli di avvicinarsi alla comunità. Ai ragazzi occorre parlare con la loro lingua: gioco e sport, da questo punto di vista, sono essenziali, la catechesi da sola non basta… Le cose, però, non funzionano quando il culto della competitività, che impregna la nostra società, diventa preminente».
Ha scritto che «fare il prete in oratorio è in assoluto la cosa più bella che esista». Perché?
«Stare tra i ragazzi, vederli crescere, diventare grandi, ascoltare e intuire i loro sogni e desideri, curare le loro fragilità: tutto questo è qualcosa di grande, emozionante. È un dono di Dio che dà senso alla vita».
Di fatto, però, stando ai numeri, il prete da oratorio pare una specie in via di estinzione. O no?
«Le statistiche denunciano un calo vistoso del clero, non v’è dubbio, ma il paradosso è che, proprio oggi una realtà educativa come l’oratorio si rivela sempre più necessaria, non come “soccorso sociale”, ma come luogo di annuncio e testimonianza del Vangelo. Di fatto la “domanda” di oratorio (almeno d’estate) è in continua crescita. Quanto ai preti, è più vero oggi di ieri non solo che l’oratorio ha bisogno di un prete, ma anche che un prete ha bisogno dell’oratorio, per una pastorale agganciata alla realtà. La diminuzione del clero non può quindi trasformarsi in alibi per chiudere l’oratorio o ridurlo a un’oasi per pochi».
GLI EVENTI DI ORALYMPICS
La fiaccola benedetta dal Papa parte dal Duomo
Mai come in questo caso varrà il motto «l’importante è partecipare»: per i tremila preadolescenti ambrosiani, provenienti da ben 148 oratori, che parteciperanno a Oralimpics, dal 29 giugno al 1° luglio, decisiva, più che i risultati, sarà l’esperienza di vita comune che faranno, accompagnati dai loro educatori. L’iniziativa è promossa da Csi Milano e Fom, in collaborazione con il Coni Lombardia, Regione Lombardia, Comune di Milano e Arexpo, con l’appoggio prezioso di sponsor privati tra cui Italgreen, società leader nei campi in erba sintetica. Come nella prima edizione, infatti, saranno allestiti circa 50 campi da gioco, quasi un chilometro e mezzo di strutture sportive. Per la cerimonia di inaugurazione, venerdì 29 giugno (che vedrà un suggestivo momento di preghiera sotto l’Albero della Vita, guidato dall’arcivescovo di Milano Mario Delpini), la fiaccola, benedetta da papa Francesco, sarà portata dai testimonial sportivi e dai giovani degli oratori dal Duomo di Milano al villaggio olimpico, passando per alcuni tra i luoghi più significativi della città. Sabato 30 giugno e domenica 1° luglio avranno luogo le competizioni sportive. Ce n’è per tutti: calcio, pallavolo, pallacanestro, atletica, pallamano, ma anche arrampicata, ciclismo, baseball, arti marziali, canottaggio… Oltre ad attività ludiche ed educative per tutti. Sempre sabato 30 avrà luogo la presentazione ufficiale di un progetto formativo per gli oratori milanesi contro il cyberbullismo, che verrà attuato tra ottobre e dicembre: i contenuti sono offerti da Fondazione Carolina, creata da Paolo Picchio, papà di Carolina, prima vittima accertata del cyberbullismo. A conclusione dell’evento la celebrazione dell’Eucaristia, domenica 1° luglio, presieduta dal vicario generale Franco Agnesi.