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sabato 01 aprile 2023
 
 

Don Talamoni sale sul Duomo

06/11/2014  Luigi Talamoni (1848-1926) insegnò al Collegio San Carlo di Milano, dove ebbe tra gli allievi il futuro papa Pio XI, fu un apprezzato confessore e predicatore in Duomo, consigliere comunale nella natale Monza, costretto poi alle dimissioni dal fascismo, oltre che fondatore delle Suore Misericordine di San Gerardo

Dallo scorso primo novembre, su uno dei piloni della navata settentrionale del Duomo di Milano si può ammirare una nuova statua, quella di don Luigi Talamoni, proclamato beato nel 2004. Il volto esprime la profonda umanità del sacerdote, mentre la veste talare dal panneggio mosso sottolinea il suo dinamismo in ambito religioso e civile.  Luigi Talamoni (1848-1926) insegnò al Collegio San Carlo di Milano, dove ebbe tra gli allievi il futuro papa Pio XI, fu un apprezzato confessore e predicatore in Duomo, consigliere comunale nella natale Monza, costretto poi alle dimissioni dal fascismo, oltre che fondatore delle Suore Misericordine di San Gerardo. E' proprio questa congregazione che ha dato l’incarico a Giancarlo Defendi di realizzare l’opera in marmo bianco benedetta dall’arcivescovo, cardinale Angelo Scola,  durante la festa di Ognissanti. Non tutti sanno che la chiesa simbolo di Milano continua ancora oggi ad impreziosirsi con nuovi pilastri della Fede, grazie alla Veneranda Fabbrica che dal 1387 supervisiona i lavori.

La colllocazione sul Duomo della statuda di don Carlo Gnocchi. Foto della Veneranda fabbrica del Duomo.
La colllocazione sul Duomo della statuda di don Carlo Gnocchi. Foto della Veneranda fabbrica del Duomo.

Tra le guglie del Duomo, veglia sulla città la statua del beato don Carlo Gnocchi. Il “papà dei mutilatini” c’è dalle celebrazioni del 25 ottobre 2013, anniversario della nascita e memoria liturgica del beato, quando un autogru ne ha posizionato la scultura sulla mensola 211 del lato est, proprio di fronte all’Arcivescovado. Gli 800 chili di marmo bianco delle Cave di Candoglia raffigurano il sacerdote che accoglie tra le proprie braccia un bambino mutilato tratto dalle macerie. Quella di don Carlo fu infatti una storia di braccia aperte a tanti orfani e mutilati nell’Italia che usciva dalla distruzione della Seconda guerra mondiale. Il primo fu Bruno: era l’8 dicembre 1945 e don Carlo  aveva appena terminato di celebrare la Messa ad Arosio, in provincia di Como, quando il portinaio gli venne a dire che avevano portato un bambino. Suo padre era morto in Russia, dove don Carlo era stato cappellano degli alpini. A mezzogiorno ne arrivarono altri sei, prima di sera ne aveva ventotto.

La statua del beato don Carlo Gnocchi . Foto della Veneranda fabbrica del Duomo.
La statua del beato don Carlo Gnocchi . Foto della Veneranda fabbrica del Duomo.

Se Bruno fu il primo degli orfani di alpini accolti da don Gnocchi, Paolo poco dopo fu il primo dei mutilatini. All’imbrunire, una giovane donna dal volto consumato consegnò a don Carlo il suo bambino di otto anni, tutto spaventato, che si reggeva malamente sulle stampelle. «È stato lo scoppio di una bomba, padre», gli spiegò piangendo, «se ne è andata la gamba. Ho speso tutto tra medici, operazioni, specialisti. Ora non ho più niente, è due giorni che non mangiamo. Non ce la faccio più. Me lo prende lei, padre, il bambino: che almeno possa vivere… Io posso gettarmi sotto un treno». La donna baciò il piccolo e scappò via gridando: «Vai con lui, Paolo, vai con lui…». Il bimbo, deposto per terra, urlava, spaventato. Nessuno riuscì a fermare la donna. Don Carlo prese fra le braccia il piccolo che si dimenava chiamando: «Mamma!». Per due giorni il bambino delirò, tra febbri altissime, ma don Carlo non si separò mai da lui. Gli parlava sommessamente, vegliava il suo sonno, lo aiutava a mangiare qualcosa. Nei momenti di lucidità, Paolo picchiava e graffiava disperatamente don Carlo, invocando la presenza della madre, che nessuno riuscì mai a rintracciare. Poi, un giorno, Paolo gettò le braccia al collo di don Gnocchi, e tutti e due piansero sommessamente… I milanesi sono particolarmente legati alla memoria del sacerdote, che morì nel 1956 dicendo in dialetto «Amis, ve raccomandi la mia baracca», e ora il beato continua a vegliare sul capoluogo lombardo. Aggiunte negli ultimi anni sulle facciate esterne del Duomo, ci sono anche le statue dei beati monsignor Luigi Biraghi, don Orione, don Guanella, suor Annamaria Sala, fratel Pampuri, padre Mazzucconi, fra Menni e padre Marzorati. L’arcivescovo Scola ne ha spiegato il senso: «Il Duomo vive ancora oggi per l’esemplarità e la santità che indicano le figure “fermate” per sempre nei suoi marmi. Immagini che paiono vegliare dalle mille guglie sulle mille raggiere della metropoli e che narrano una storia che ha ancora tanto da insegnare». E ha aggiunto: «Noi ci auguriamo che anche la Milano di oggi comprenda perché compiamo questi gesti, perché rendendo visibili questi santi e guardando alla loro testimonianza, si possa essere cristiani e cittadini autentici».    

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