Don Tonino Bello con i suoi ragazzi.
Prete di frontiera, vescovo degli
ultimi, profeta della pace.
Lo hanno definito in tanti
modi don Tonino Bello, vescovo
di Molfetta, in Puglia,
tra il 1982 e il 1993, e presidente
nazionale del movimento
Pax Christi. I lettori di Famiglia
Cristiana potranno vivere con le sue
parole l’Avvento e Natale, attraverso otto
volumetti che attingono ai suoi scritti,
dalle omelie a vari discorsi.
Non è azzardato, oggi, definire il vescovo
salentino anticipatore dello stile
di papa Francesco. Soprattutto nel linguaggio
con il quale ha ridato nuova linfa
all’insegnamento del Vangelo e al dialogo
con i lontani. Lo stile di comunicazione
di Bergoglio attinge a un linguaggio
simbolico che entra immediatamente nell’immaginario collettivo. Tutti ricordano
espressioni come “Chiesa ospedale
da campo”, “periferie esistenziali”,
“l’odore delle pecore”, “il sudario non
ha tasche”, “Dio spray”, “globalizzazione
dell’indifferenza” o la Chiesa “che
non deve essere una baby sitter”.
Don Tonino, con la libertà profonda
e la genialità dei profeti, usava espressioni
analoghe per comunicare con i fedeli.
Coniò la celebre espressione sulla "Chiesa del grembiule" per indicare che il potere nella Chiesa è servizio. Vediamo cosa scrive a proposito
della pace: «Il Signore è sceso sulla Terra
assetata di pace e ha scavato il pozzo
artesiano della pace, servendosi della
croce come se fosse una trivella. Adesso
è compito nostro portare l’acqua in superficie
e farla arrivare fino agli estremi
confini della Terra».
O ancora: «Dovremmo
chiedere al Signore la grazia
dell’indignazione, perché non sempre
ci indigniamo». Sembra di risentire il
grido di papa Francesco a Lampedusa:
«Domandiamo al Signore la grazia di
piangere sulla nostra indifferenza».
In Scomodi auguri,
per i tradizionali auguri di Natale, don
Tonino scrive: «Dio che diventa uomo
vi faccia sentire dei vermi ogni volta
che la carriera diventa idolo della vostra
vita; il sorpasso, progetto dei vostri
giorni, la schiena del prossimo, strumento
delle vostre scalate».
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Ala di riserva, uno dei suoi testi più
letti, comincia così: «Ho letto da qualche
parte che gli uomini sono angeli
con un’ala soltanto: possono volare solo
rimanendo abbracciati. A volte, nei
momenti di confidenza, oso pensare, Signore,
che anche tu abbia un’ala soltanto.
L’altra, la tieni nascosta: forse per
farmi capire che anche tu non vuoi volare
senza di me».
Poi don Tonino conia
un termine: “antipasqua”, declinando
cosa si oppone alla bella notizia della risurrezione:
«Antipasqua non è solo
l’aborto, ma è ogni accoglienza mancata.
È ogni rifiuto del pane, della casa,
del lavoro, dell’istruzione, dei diritti».
Il secondo aspetto che accomuna
don Tonino a papa Francesco è l’essenzialità
della comunicazione, tipica della
nostra contemporaneità e dei nuovi
media.
La terza è la corporeità, la fisicità.
Don Tonino era quello che diceva,
le sue parole abbracciavano, accarezzavano,
scuotevano, creavano ponti di
dialogo. Eccolo dunque nel dicembre
’92, già fiaccato dalla malattia, andare
nella Sarajevo assediata per dire no alla
guerra. Oppure fare spazio nell’arcivescovado
per ospitare poveri, immigrati,
senzatetto. Seduzione del Vangelo, certo,
ma seduzione anche di chi, quelle parole
antiche, le ha sapute annunciare e
testimoniare con creatività.