Si celebra domani la Giornata internazionale delle persone con disabilità. Don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, realtà storica di solidarietà, commenta l’appuntamento, lui che per anni si è battuto per il welfare e per la carità nella Chiesa con un’attenzione particolare ai portatori di handicap. «La disabiità sta cambiando e sta crescendo di dimensioni. Oggi ci sono due nuove forme: la prima legata alla malattia che curata allunga la vita ma porta la disabilità; così nei casi di ictus, insufficienze respiratorie o cardiache. E la seconda legata all’anzianità, all’età che avanza esponenzialmente».
"Rimuovere le barriere per creare una società inclusiva e accessibile per tutti" è il tema scelto dalle Nazioni Unite per questa edizione. Un’utopia?
«La prima barriera è fisica; abbiamo una legge sulle barriere architettoniche ma viviamo in città vecchie, senza una geografia pronta ad ospitare i disabili. La seconda è culturale; non siamo pronti ad accogliere i disabili e viverli come persone normali. In particolare con i disabili mentali che all’inizio vengono sopportati e alla fine allontanati. C’è poi una barriera affettiva. Qualsiasi persona ha bisogno di amicizia, affetto, amore e sesso. Per i disabili le cose si complicano. L’ultima barriera è quella economica perché mancano gli strumenti di tutela. L’assegno di accompagnamento è di circa 490 euro, la pensione sociale poco più di 200. Ci sono poi la disoccupazione e il mancato inserimento al lavoro. Tutto questo impedisce l’inclusione sociale e i disabili si ritrovano quasi sempre a carico delle famiglie».
Famiglie e disabilità. Qual è l’atteggiamento di chi si trova a convivere con un figlio o un parente disabile?
«E’ duplice; c’è chi scarica il disabile rendendolo solo e diverso e chi, invece, ci si avvinghia compromettendone la serenità. La società in tutto questo contribuisce solo economicamente delegando alla famiglia l’aspetto relazionale e ricreativo. Il rischio è che la famiglia sotto questo peso si spacchi».
Le Nazioni Unite lanciano una sfida per questo appuntamento: "Colmare il divario fra le buone intenzioni e le azioni concrete attese da tempo". Come risponde?
«In Italia di strada se ne è fatta e alcuni risultati sono stati raggiunti. Soprattutto per i disabili nell’età dell’infanzia e della prima fanciullezza. Con l’adolescenza inizia l’abbandono per arrivare alla fine delle superiori nella totale solitudine rispetto agli ambienti, alle risorse, all’ambito sociale e amicale. Per non parlare della vecchiaia. Dico che c’è ancora tanto da camminare».