«Pensare di costruire un futuro su una macchinetta, su un “gratta e vinci”, è stupido».
A dirlo è don Armando Zappolini, portavoce di “Mettiamoci in gioco”, campagna nazionale contro i rischi del gioco d'azzardo, nata nel 2012, e che è andata via via crescendo nelle articolazioni e nelle adesioni; oggi coinvolge 31 realtà nazionali (tra cui Libera, Avviso pubblico, Acli, Anci, Auser, Cgil, Cnca, Federconsumatori, Ac, e molte altre).
In questi anni, sono sorte altre campagne, con finalità simili: “No Slot”, “Insieme contro l'azzardo”, “Non fare il pollo”, “SlotMob”, “Slot Free”, etc. Un battage che tenta di contrastare un fenomeno diffusissimo. Lotteria, slot machine, poker, “gratta e vinci”, sale “Bingo” hanno inondato il mercato.
Ogni italiano maggiorenne, in media spende fra i 1.700 e i 1.900 euro, facendo dell'Italia il primo Paese al mondo per spesa pro-capite al gioco. E, per alcuni, questo si è tramutato in una patologia. Sono 700-800 mila le persone che hanno il problema a vari livelli: da quello compulsivo alla dipendenza patologica. Per avere un termine di paragone, gli alcolisti e tossici in cura nei Sert italiani sono 420 mila, la metà.
Sono tra i 5,5 e i 6,6 miliardi i costi sociali e sanitari stimati. Lombardia, Lazio e Campania sono le regioni dove il fenomeno è più presente. Il business dell'azzardo annuale nel nostro Paese è di 80-90 miliardi (gestito dallo Stato e da imprese private), a cui vanno aggiunti i 15-20 miliardi che rappresentano l'ipotetico giro d'affari delle mafie.
Il gioco d'azzardo è la terza industria del Paese dopo Eni ed Enel. «I dati non sono del tutto precisi», spiega don Armando, «perché i monopoli tendono a non renderli visibili, per evitare che la gente si allarmi. C'è una lobby talmente potente dentro al sistema delle istituzioni, che persino gli stessi parlamentari faticano ad aver accesso ai dati».
Occorre vietare la pubblicità del gioco d'azzardo
La campagna mira a una regolamentazione del gioco d'azzardo, oltre che all'informazione e sensibilizzazione dell'opinione pubblica. «Abbiamo individuato alcuni punti fermi condivisi, che sono entrati nella proposta di legge presentata a luglio alla Camera dal gruppo parlamentare trasversale ai partiti, “Gruppo con il gioco d'azzardo” (un centinaio di parlamentari su mille), coordinato da Lorenzo Basso. Chiediamo», spiega Zappolini, «innanzitutto, il divieto assoluto della pubblicità del gioco d'azzardo. Bisogna interrompere questo rapporto tremendo tra la pubblicità e le fasce più deboli della popolazione. Dove c'è più miseria, proprio lì è più appetibile il messaggio pubblicitario: la restituzione di piccole vincite a chi gioca, crea un sistema di induzione al consumo, che diventa propulsivo e in alcuni casi, patologico. Ma è anche necessario che vengano individuate le sanzioni per chi trasgredisce, se si vuole davvero cambiare rotta. Ferma restando la sfida educativa. O si insegna ai ragazzi un modello di vita e un rapporto sano con il denaro, oppure non andremo da nessuna parte. Non si tratta di essere né proibizionisti e neppure eccessivamente allarmisti, bisogna agire in modo laico, la gente deve sapere che, se c'è una buca e ci si cade dentro, ci si fa male. Anche i media hanno delle responsabilità, e anche su questo stiamo ragionando. Si fanno articoli quando qualcuno vince 200 mila euro al “gratta e vinci”, ma nessuno dice che per il gioco, ad esempio, nella stessa città venti persone si sono rovinate».
Più giochi, più perdi
«Chiediamo, poi», continua il sacerdote, «di garantire agli enti locali la possibilità di appesantire i divieti sull'esercizio dell'azzardo nei propri territori. Molto spesso i Comuni non hanno lo strumento amministrativo per poter disporre orari di chiusura. Vogliamo la moratoria sul gioco d'azzardo. Infine, chiediamo che siano garantiti un sistema di cura e un progetto di prevenzione sulla patologia del gioco d'azzardo. Tutto questo all'interno del Sistema sanitario nazionale e finanziato dalla fiscalità nazionale. Non vogliamo che i profitti del gioco sostengano i pagamenti della cura, perché sarebbe come dare una copertura etica. Il cittadino che soffre di questa patologia, ha diritto a essere curato come qualsiasi altro ammalato».
‒ Ma i sindaci non hanno davvero nessuno strumento?
«Con il decreto Balduzzi, che ha riconosciuto la patologia, i Comuni possono emettere ordinanze collegandole al tema della salute, rispetto alla quale il sindaco è autorità massima. Però è un terreno scivoloso. L'unica carta che si possono giocare è quella delle agevolazioni fiscali ai locali che eliminano le macchinette. Ma non c'è paragone con quello che esse fruttano agli esercenti. In Italia abbiamo più macchinette che posti letto in ospedale. Bisogna riconvertire le armi in falci e gli scudi in martelli».
Il 16 settembre i membri della campagna “Mettiamoci in gioco” si sono ritrovati con i parlamentari alla Camera per fare il punto su strategie e percorsi possibili. «Dobbiamo trovare il modo per fare pressione sui singoli partiti affinché diano un segnale concreto. Non si può pensare di continuare con pacche sulle spalle e poi non agire. Il 20 ottobre, poi, avremo l'assemblea con tutti i coordinamenti regionali, dedicata proprio al rilancio della strategia. A Milano un convegno del nostro coordinamento regionale; i Sert pubblici si stanno attivando, così come l'Arci. Insomma, ci sono vari appuntamenti. Il ghiaccio da sciogliere è grosso, ma noi tutti abbiamo un grande calore dentro», nella consapevolezza che «più giochi, più perdi», conclude don Armando.